Vorrei riprendere un argomento che mi sta a cuore e che avevo toccato parlando dell’intervento proposto dalla Lipu a Renzo Piano per il nuovo ponte sul Polcevera e da lui compreso ed accettato. A proposito del progettare e costruire nel rispetto della biodiversità, avevo accennato al diverso atteggiamento che a tal riguardo si può osservare negli altri paesi europei, mentre qui da noi fatica ad affermarsi. Questo atteggiamento, che immagino derivi da differenze culturali, come la maggiore attenzione per la natura che da sempre appartiene al nord Europa ed in particolare alla Gran Bretagna (sull’origine di questa diversa caratteristica culturale lascio che siano altri più capaci di me ad azzardare un’ipotesi), si traduce poi in interventi concreti, che possono portare a risultati importanti sul fronte della conservazione della biodiversità.
Gli esempi sono molteplici e se ne possono trovare anche in altri paesi europei, come ad esempio in Spagna, paese che ho avuto l’occasione di conoscere un po’. In particolare ho un ricordo che risale a circa 25 anni fa dell’allora Parco Naturale di Monfragüe, in Estremadura. Questo parco, che si trova alla confluenza del fiume Tiétar con il Tago, era stato istituito nel 1979 ed era entrato a far parte della Rete Natura 2000, come Zona di Protezione Speciale degli uccelli. Si tratta di un ambiente veramente eccezionale, che accoglie un gran numero di specie di uccelli, alcune delle quali altrove molto rare. La sua conformazione geologica (alte rupi che incorniciano le sponde fluviali) ed un ambiente particolarissimo, la Dehesa, un paesaggio modellato dall’uomo per favorire l’allevamento brado del bestiame - che si è però rivelato perfetto per accogliere una fauna molto ricca e diversificata - lo rendono un ecosistema veramente unico. Negli anni settanta del secolo scorso però, circa 3.000 ettari di questo ambiente erano stati distrutti per Regio Decreto, per piantare due specie di eucalipto, da utilizzare per la produzione della carta, essendo l’Estremadura una regione economicamente depressa. Intere colline furono coperte di eucalipti “in purezza”, eliminando la vegetazione spontanea e in alcuni tratti anche la Dehesa (un’associazione estensiva di lecci e querce da sughero). Si venne così a creare, come si può immaginare, un tipo di habitat (ammesso che così lo si potesse definire) completamente artificiale, che non permetteva lo sviluppo di un sottobosco con vegetazione naturale e di conseguenza era assolutamente privo di fauna associata. Così mi era apparso il parco la prima volta che l’avevo visitato e devo dire che, pur mostrando per la maggior parte della sua estensione il meraviglioso paesaggio e la ricchezza di vita che lo rendevano unico, quelle distese di eucalipti erano un pugno nell’occhio e un colpo al cuore.
Ma per fortuna già dalla fine degli anni ’90 si era cominciato a capire che un parco naturale non poteva rinunciare alla sua primaria finalità, quella della protezione della natura, e si era iniziato a parlare dei primi progetti di eradicazione degli eucalipti e di ripristino della situazione preesistente, ma poi, quando nel 2003 Monfragüe era stato dichiarato Patrimonio della Biosfera e poi, nel 2007, era diventato Parco Nazionale, questi progetti furono adeguatamente finanziati e si riuscì a concretizzarli: in un tempo relativamente breve gli eucalipti vennero tagliati e poi eradicati e l’ambiente originario ripristinato. Quando ci sono tornata negli anni successivi la vegetazione spontanea era già ricresciuta e la vita era tornata. Ormai in questa splendida regione, e non solamente nel Parco, l’economia punta soprattutto sul turismo, senz’altro grazie alle numerose città d’arte e alla gastronomia (è famoso il jamon pata negra, che si ricava dai maiali allevati allo stato brado, che si nutrono delle ghiande della Dehesa), ma anche su un turismo “specializzato”, composto di bird-watchers e fotografi naturalisti che arrivano da tutta Europa e non solo. Sono nate piccole strutture ricettive rispettose dell’ambiente e uno splendido e modernissimo Museo che racconta la storia del territorio e della sua natura, per incontrare le esigenze di coloro (e per fortuna sono sempre di più) che non vogliono prendere possesso dei luoghi ma farsene lentamente pervadere.
Ci vuole coraggio per decidere di abbattere ed eradicare così tanti alberi, specialmente se si pensa alla reazione dell’opinione pubblica, e qui da noi mi viene da pensare che sarebbe forse impossibile. Quel minimo di conoscenza e di amore per la natura che la popolazione italiana dimostra di possedere, in genere non si può però definire conoscenza ecologica: si ingaggiano battaglie all’ultimo sangue per il singolo albero o animale, ma non si riesce ad avere una visione più ampia e profonda, che abbracci l’ecosistema con le sue interconnessioni. Per questo sarebbe necessaria più del pane una vera educazione ambientale ed ecologica, fin dalla scuola dell’infanzia, che permetta, prima o poi, di ricollocare l’essere umano al suo posto, che è quello di una fra le tante specie all’interno di questo fragile mondo… con una responsabilità in più però, che gli deriva dalla sua intelligenza, che andrebbe sicuramente sfruttata meglio… Ma è un cane che si morde la coda: anche saper usare bene l’intelligenza dipende da un’adeguata educazione.
Sempre in Spagna si sta lavorando con successo per salvare una specie a rischio di estinzione, un tempo diffusa in gran parte della penisola iberica, ma ormai presente solo in due piccole zone dell’Andalusia: la Lince iberica o pardina (Lynx pardinus). Il rapido declino di questo splendido felide si era verificato in seguito alle epidemie di mixomatosi che avevano decimato i conigli selvatici, che sono la sua preda principale. Lo sviluppo della rete stradale che aveva frammentato il suo habitat era stato poi la causa di un gran numero di investimenti stradali. Ma le ottime campagne di informazione, l’imposizione di limiti di velocità e l’apposizione di cartelli stradali dedicati, oltre all’impegno nell’allevamento in cattività e nella reintroduzione in natura degli animali feriti e curati, ne hanno però arrestato il declino ed anzi, negli ultimi anni, hanno consentito un inizio di ripresa a questa specie così rara.
Un altro esempio che voglio fare riguarda Trujillo, una cittadina ricca di storia, ai margini del parco di Monfragüe. Qui, nelle mura medioevali e nei tetti coperti da coppi delle antiche abitazioni, si è insediata una cospicua popolazione di falchi grillai (Falco naumanni). Si tratta di un falchetto simile al più comune gheppio (Falco tinnunculus), che dall’Africa sub-sahariana, dove sverna, viene a nidificare in Europa. Ha un comportamento sociale, a differenza del gheppio, e in Italia è piuttosto raro e localizzato (è famosa la colonia di Matera, ma è presente da tempo anche in altre località delle Murge lucane e pugliesi), mentre è assente o molto raro altrove.
A Trujillo questi falchetti sono molto amati ed apprezzati dai turisti e di fotografi, tanto che si è provveduto a disporre nidi artificiali progettati appositamente, ma addirittura anche a progettare e produrre coppi speciali, da inserire tra le tegole dei tetti medioevali, per renderne più agevole la nidificazione.
Negli ultimi anni in Italia il grillaio sta lentamente espandendo il suo areale verso nord e per fortuna sta beneficiando di una particolare attenzione anche da parte delle istituzioni. A Matera e Montescaglioso un progetto life ha portato all’introduzione di nuove norme nei regolamenti edilizi, che tutelano le colonie di questo rapace, ma anche all’installazione di 400 nidi artificiali su molti edifici, alla disponibilità a titolo gratuito per le ditte edili ed i singoli cittadini di 1.600 nidi artificiali e alla realizzazione di un centro di recupero dedicato in maniera specifica alla cura ed all’allevamento dei grillai in difficoltà. Ma soprattutto si è curata la sensibilizzazione della popolazione attraverso la diffusione di materiale divulgativo nei punti di aggregazione e nelle scuole del territorio e la sensibilizzazione degli insegnanti delle scuole di Matera e Montescaglioso attraverso incontri con esperti naturalisti; inoltre è stato promosso un concorso di disegno per gli alunni delle scuole elementari dal titolo “Anch’io aiuto il falco grillaio”.
In pianura Padana sempre un progetto life ha consentito all’Enel di mettere in sicurezza i pali della corrente nelle province di Bologna, Modena, Reggio Emilia, Mantova e Ferrara e di installarvi cento nidi artificiali per incoraggiare la nidificazione del grillaio, che si è spinto fino a lì.
Ma mi rendo conto di essere un po’ partita per la tangente e quindi voglio provare a riportare tutto questo discorso verso una conclusione che abbia un senso compiuto ed anche una certa attualità. Mi riferisco ai programmi che andranno presentati a Bruxelles per ottenere i fondi del Next Generation Eu e al tanto parlare che si fa di transizione energetica, sostenibilità ambientale e soprattutto di difesa della biodiversità. L’altro grande tema ricorrente è il rilancio dell’economia, anche se secondo me si fa ancora fatica a capire che è proprio e soltanto nella direzione individuata dai tre grandi indirizzi appena indicati che l’economia potrà e dovrà tornare a crescere. Dovranno essere sostenute solo le imprese che andranno in quella direzione e per le altre andrà studiata e sostenuta una riconversione, mentre ogni progetto che vada in senso contrario dovrà essere necessariamente abbandonato. E quindi se è vero, come hanno sostenuto chiaramente sia Ursula von der Leyen che Mario Draghi, che la difesa della biodiversità è fondamentale per il nostro benessere, andranno incrementate e finanziate tutte quelle attività che porteranno non solo alla sua difesa, ma al suo incremento, e ostacolate le altre.
Sviluppando fantasia e creatività, ma anche semplicemente copiando da chi lo ha già fatto, potranno nascere imprese capaci di realizzare viadotti verdi e sottopassaggi per la fauna, affinché questa possa spostarsi in sicurezza; ciò consentirebbe anche di contrastare l’isolamento genetico che può provocare un deterioramento dello stato di salute delle popolazioni animali; altre aziende potrebbero realizzare barriere che impediscano agli animali di attraversare dove non sia sicuro, così come vetrate e pannelli trasparenti fonoassorbenti progettati, come per il ponte di Genova, per essere ben visibili dall’avifauna in migrazione. Ancora ci potrà essere chi progetta e realizza tegole speciali per facilitare la nidificazione di rondoni o grillai, con ostacoli per le specie indesiderate come i colombi, come anche chi progetta nidi artificiali per le diverse specie, non solo di uccelli, ma anche di mammiferi, come i pipistrelli. Ma, di più, a livello delle istituzioni, potrebbe essere istituito un ufficio speciale, che impieghi ingegneri e biologi impegnati a ridurre al minimo l’impatto negativo che quegli strumenti così importanti per la transizione energetica che sono le pale eoliche hanno sull’avifauna, dislocandole lontane dalle rotte migratorie e rendendole comunque più visibili gli uccelli, magari grazie ad una colorazione ben studiata.
Tutte queste iniziative, insieme alle altre che potranno scaturire dall’impegno e dalla fantasia, necessarie per uscire dalla crisi andando però nella giusta direzione, faranno sì che molte piccole e medie imprese possano riuscire a risollevarsi, riciclandosi e creando lavoro “buono” e a far sì che la difesa della biodiversità non rimanga solo un’espressione con la quale farsi belli e riempirsi la bocca.