IERI/OGGI

QUELLE SEI RADIO
PIU' UGUALI DELLE ALTRE

BEPPE LOPEZ

La storia e la pratica delle provvidenze (pubbliche) per l’editoria (privata) ha aspetti notoriamente osceni e in molti casi illegali. Ma quanto i tagli ai giornali di cooperative, no-profit, di partito e di “movimento” - inseriti nella manovra finanziaria già approvata dalla Camera – vadano in tutt’altra direzione rispetto ai provvedimenti effettivamente da assumere per cancellare questa autentica vergogna nazionale, lo ribadisce la vicenda di sei radio finanziate in quanto sedicenti “organi di partiti politici rappresentati in Parlamento”. Finanziate, come vedremo, con trucchi e sotterfugi grotteschi e scandalosi, ai danni – è bene ricordarlo – di tutte le altre radio. Con tanti saluti alla promozione del pluralismo e della libera concorrenza di mercato.

Anch’esse, beninteso, con la sola eccezione di Radio Radicale, dovrebbero essere coinvolte dai tagli conseguenti al decreto Brunetta del 25 giugno 2008 n.112: i 37 miliardi richiesti, in base alle norme vigenti, dall’universo delle emittenti sostenute con pubblico danaro (750 radio locali, 400 tv locali e appunto quelle cinque radio “di partito”) scenderebbero a 20, perlomeno sul piano contabile e immediato.

Ma la loro vicenda è veramente emblematica. E viene rilanciata in questi giorni da un settimanale come Panorama, proprietà di Berlusconi e da un senatore del partito di Berlusconi, Alessio Butti, capogruppo del Pdl nella Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. Si potrebbe sospettare che da quel giornale e da questo partito giungano pur giuste e scandalizzate denunce dei finanziamenti a quelle sei radio, e non invece dei contributi ben più massicci ai grandi gruppi editoriali (a cominciare dalla Mondadori) e ben più indecenti a certe false cooperative e falsi “movimenti”, perché quelle emittenti operano prevalentemente in ambito di centrosinistra e grazie a coperture di centrosinistra.

Chi ritiene però che si debba finalmente arrivare al risanamento dei finanziamenti – distinguendo concretamente fra chi avrebbe diritto (anche morale) a continuare a prenderli e chi dovrebbe esserne senz’altro escluso – non può che accogliere con interesse, per esempio, la questione encomiabilmente riproposta e indagata, nel numero in edicola, dal settimanale mondadoriano. In soldoni, per sei solo testate radiofoniche lo Stato ha versato 8 milioni nel 2004, 10 milioni nel 2005 e, da ultimo, 12 milioni a valere sul 2006. Una cifra in costante aumento perché copre, a pie’ di lista e senza alcun controllo, l’80% dei costi. Vediamole una per una.

Radio Radicale (Roma), organo della “lista Marco Pannella”, prende 4 milioni 431 mila euro. Grazie alle firme dei parlamentari D’Elia e Beltrandi (Rosa nel Pugno).

Ecoradio (Sulmona), organo prima del “Movimento politico Italia e libertà” e poi del movimento “Comunicambiente” prende 3 miliardi e 732 mila euro. Grazie alle firme prima dei deputati verdi Cento e Lion, e poi di Fundarò (verdi) e Dato (Ulivo).

Radio Città Futura (Roma), organo del movimento “Roma idee”, prende 2 milioni e 566 mila euro. Grazie alle firme alle firme di Bettini (Ulivo) e di Zingaretti (europarlamentare e presidente della Provincia di Roma).

Radio Veneto 1 (Treviso), organo prima del movimento “Liga veneta Repubblica –Veneti d’Europa” e poi del movimento “Liga fronte veneto Mord-est Europa”, prende 566 mila euro. Grazie alle firme prima del parlamentare leghista Serena e poi di Rubinato (deputata Margherita-Pd).

Radio Galileo (Terni), organo del movimento “Cittaperta”, prende 424 mila euro. Grazie alla firma di Di Girolamo (prima deputato dell’Ulivo e oggi senatore Pd).

Radiondaverde (Cremona), organo del movimento “A viva voce”, prende 201 mila euro. Grazie alle firme dei deputati Codurelli e Marantelli (Ulivo).

E’ da rilevare che le provvidenze per l’editoria prevedono, a parte, contributi perlopiù modesti per le altre 1.150 emittenti radiofoniche e televisive locali. Ma a queste sei si riserva un trattamento assolutamente particolare e più consistente. Perché “organi di movimenti”.

Ma, a parte la “lista Marco Pannella” e la sedicente “Liga veneta Repubblica”, chi ha mai sentito, chi ha mai rilevato una qualche attività politica, chi può giurare sulla stessa esistenza di movimenti quali Italia e libertà, Roma idee, Cittaperta, A viva voce? Spesso, come ha verificato e riporta Laura Maragnani su Panorama, i parlamentari che hanno firmato quelle dichiarazioni di appartenenza non sanno nulla di quei movimenti (“Mi coglie impreparato, così su due piedi”, “E io che ne so?”, “Me l’aveva chiesto il segretario regionale del partito”…).

E comunque sono parlamentari che notoriamente appartengono ad altri movimenti, a partiti veri e propri, dai quali il sistema truffaldino della legge non pretende che si dimettano nemmeno pro forma, nemmeno per un minuto.

Un caso a parte è Radio Radicale, finanziata dallo Stato dal 1994 anche attraverso l’affidamento di un servizio pubblico di altissima delicatezza costituito dalle “dirette” dal Parlamento. Una decina di milioni l’anno, di cui si è riparlato anche in occasione della recente manovra finanziaria. Perché non lo fa la Rai questo servizio pubblico? Il forzista Butti se lo è chiesto e ha riproposto il problema. E’ almeno dal 1998 – è la sua tesi, ragionevole e incontestabile - che questa regalìa di Stato a un’impresa privata, anzi ad un giocatore della partita politica, viene immotivatamente e impropriamente attribuita per una funzione che richiede, per definizione, un operatore neutrale. E pubblico.

"Ritengo che la spesa di 10 milioni di euro autorizzata dalla Legge Finanziaria 2007 a favore di Radio Radicale per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 sia inutile oltrechè anacronistica”, si legge in una interrogazione parlamentare presentata da Brutti. "Il finanziamento di una rete nazionale privata deputata a trasmettere le sedute del Parlamento poteva essere giustificato e tollerato soltanto in una fase transitoria”. In sostanza, secondo le stesse intenzioni del legislatore, “nel momento in cui la Rai, nel rispetto della Legge Mammì, e precisamente dal 2 febbraio 1998, ha iniziato a trasmettere le sedute parlamentari e i relativi approfondimenti attraverso GR Parlamento, Radio Radicale ha perso la sua peculiarità ed indispensabilità".

Brutti, come ha ribadito lui stesso in questi giorni a un cronista di Radio Radicale che lo intervistava, non ha "nulla di personale nei confronti dei professionisti di Radio Radicale, però è del tutto evidente come l'importante emittente radiofonica non si limiti alla riproduzione dei dibattiti parlamentari e infarcisca il proprio palinsesto anche con rubriche e commenti che definire a senso unico risulterebbe un eufemismo. Ragione per cui credo che oggi sia assolutamente fuori luogo oltrechè dispendioso tenere in essere la convenzione con Radio Radicale".

L’ha detto un forzista? L’ha denunciato Panorama? Ben vengano. Specie nel momento in cui il governo vuole tagliare i fondi anche per i pochi giornali che lo meritano e ne hanno bisogno (le vere cooperative editoriali e le iniziative no-profit). Si facciano pure i tagli dei fondi per l’editoria – anzi si debbono fare! – ma lo si faccia con un minimo di dignità e di logica, eliminando le costose, indebite rendite parassitarie e i numerosi e imbrogli e raggiri tuttora consentiti.

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STAMPA E REGIME - RADIO RADICALE, UN CASO MISTERIOSO

(da Il Manifesto 31 luglio 2008) 

di A.G.

Il governo alla camera, dopo aver respinto tutti gli emendamenti convergenti firmati da 73 deputati di maggioranza e di opposizione tendenti a ripristinare il diritto soggettivo, ha corretto l'articolo 44 del decreto economico di propria iniziativa nel maxiemendamento presentato in aula, aggiungendo in coda all'articolo 44 il comma e: «mantenimento al diritto dell'intero contributo previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 250 e dalla legge 14 agosto 1991, n. 278, anche in presenza di riparto percentuale tra gli altri aventi diritto, perle imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di interesse generale ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 250».

Tradotto in italiano, che vuol dire? Le misteriose «imprese radiofoniche private che abbiano svolto attività di interesse generale» sono in realtà una sola radio, Radio radicale. E in questo testo un po' criptico c'è scritto che - una volta eliminato il diritto soggettivo -, se i soldi stanziati in bilancio non dovessero bastare tutti i soggetti che hanno titolo ai contributi diretti (quotidiani e periodici cooperativi, non profit e di partito e radio di movimento politico) ne riceveranno solo una parte, tranne Radio radicale, cui si garantisce in esclusiva «il mantenimento al diritto dell'intero contributo... anche in presenza di riparto percentuale tra gli aventi diritto».

Complimenti! Al governo e ai radicali. Messa così, la misura pare clamorosamente priva di ogni decenza. E fa pensare ad una trattativa mancante di ogni trasparenza e di qualsiasi evidenza pubblica, ma coronata da un clamoroso quanto infelice successo, tra una parte del gruppo parlamentare del Pd (i radicali, appunto) e il vertice del governo.

Sembra un caso classico di quei rapporti oscuri tra stampa e regime, di cui si occupa nella sua splendida rassegna stampa Bordin.

Noi del manifesto pensiamo che l'articolo 44 ferisca una norma di tutela del pluralismo, che riguarda tante testate, grandi o piccole, nazionali e locali, a stampa e radiofoniche, che fanno vivere giornali dovendo sormontare una discriminazione pesantissima, che si produce sul mercato pubblicitario, e fondando la persistenza di queste voci sulla volontà di chi ci lavora di tenerle in vita. E ci battiamo per un diritto di tanti: avanziamo le nostre proposte in modo pubblico e aperto, dicendo con chiarezza anche le cose che nella legislazione attuale non vanno, e che permettono così abusi e sostegni immotivati.

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RADIO LOCALI INFURIATE: "TAGLI SCELLERATI"

da Avvenire (25 luglio 2008)

di Roberto I. Zanini

Le radio e le tv locali «so­no sul piede di guerra contro questo piano scel­lerato di tagli ai contributi » . Luigi Bardelli, storico presi­dente dell’associazione delle emittenti locali di area cattoli­ca non usa mezzi termini nel criticare i tagli all’editoria pro­posti dal ministro Tremonti, nonostante le recenti generi­che rassicurazioni del sottose­gretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti. Severo, in particolare, il giudi­zio sulla disparità di tratta­mento fra Radio radicale e le altre emittenti. La manovra triennale, infatti, garantisce prima di ogni altra cosa l’at­tuale contributo di 30 milioni di euro ( la quasi totalità dei contributi a radio e tv) elargi­to all’emittente radicale come contropartita per le sue fun­zioni di servizio pubblico poi­ché trasmette le sedute parla­mentari. Ebbene, secondo Bar­delli, le emittenti locali svol­gono per loro natura servizio pubblico sul territorio anzi, da questo punto di vista « siamo di servizio pubblico più di Ra­dio Radicale. In particolare le emittenti che aderiscono al Corallo, tutte nate con una missione di servizio che è sta­ta specificata nel loro statuto». Proprio per questi motivi, an­nota il presidente del Corallo, « confidiamo che i contributi, già immiseriti dai tagli del pre­cedente governo, non venga­no ulteriormente falcidiati » . Del resto, «noi, così come le e­mittenti dell’associazione Ae­ranti, abbiamo ragione di rite­nere che il sottosegretario Bo­naiuti e il responsabile del Di­partimento Editoria di Palaz­zo Chigi, Mauro Masi, non vo­gliano tradire la linea politica federalista che si va afferman­do, sottraendo sostegno all’e­mittenza libera locale, stru­mento indispensabile di svi­luppo democratico del Paese». Bardelli chiede l’apertura di un tavolo «per affrontare nei giu­sti termini questa delicata pro­blematica », ricordando che nel recente forum annuale di Ae­ranti- Corallo, il sottosegreta­rio alle Comunicazioni Paolo Romani e tutti i politici inter­venuti hanno sottolineato l’es­senziale funzione di radio e tv per la valorizzazione delle i­dentità locali».