“Antelope Cobbler? Semplicissimo / è Aldo Moro presidente della DC”. Era il 16 marzo 1978. In quei fatali sette minuti in auto, dalla sua casa in via Forte Trionfale a via Fani, Moro probabilmente non ebbe il tempo di leggere questo clamoroso e velenoso titolo nella terza pagina di Repubblica. Un’operazione di character assassination che aveva trovato un’eco impensabile, sul giornale diretto da Scalfari, proprio nel giorno in cui era programmato il trionfo politico del presidente della Dc (la presentazione alla Camera del governo concordato con il Pci) e in cui invece egli fu rapito per essere fisicamente assassinato e i cinque uomini della sua scorta furono massacrati.
Come al solito, gli avevano fatto trovare la mazzetta dei giornali, sui sedili posteriori della Fiat 130 di servizio. E’ quasi certo che non gli sia sfuggita, sulla prima pagina di Repubblica, il titolo “Ecco i segreti dell’istruttoria Lockheed”. La Corte Costituzionale aveva depositato gli atti relativi alle tangenti passate dall’azienda Usa a politici e militari di numerosi paesi, fra i quali l’Italia, per piazzare i propri aerei militari. Erano imputati, fra gli altri, gli ex-ministri della Difesa, il democristiano Gui (moroteo) e il socialdemocratico Tanassi. Ma rimaneva segreta l’identità del corrotto più importante, il misterioso “Antelope Cobbler”, addirittura un primo ministro. E negli anni interessati, 1968-1970, tale funzione era stata svolta da Moro, Giovanni Leone e Mariano Rumor.
In quei sette minuti, il cattolicissimo Moro si fermò anche un paio di minuti nella chiesa di San Francesco. E poi aveva qualcosa di più importante a cui pensare: stava andando alla Camera a sovrintendere alla svolta storica della vita politica e sociale italiana da lui fortemente voluta e pazientemente creata, nonostante formidabili opposizioni e minacciosi avvertimenti, in particolare da parte del segretario di Stato Usa, Henry Kissinger. Del resto, la Corte Costituzionale aveva già archiviato la sua posizione tredici giorni prima, il 3 marzo.
A Moro quindi, mentre quel mattino si avvicinava al tragico appuntamento con le Brigate Rosse, sarebbe stata risparmiata l’amara sorpresa di vedere enfatizzata a quattro colonne, nella terza pagina di Repubblica, la “stupefacente deposizione” di Luca Dainelli, per molti anni ambasciatore negli Usa e membro dell’International Institute for Strategic Studies. Costui avrebbe saputo “sotto suggello del massimo segreto” da tale Tricarico, avvocato dell’ex ambasciatore Usa a Roma John Volpe, che un segretario di Volpe, trovandosi a lavorare al Dipartimento di Stato guidato da Kissinger, sarebbe venuto in possesso di una “copia di un appunto o memorandum nel quale l’Assistente Segretario di Stato Loewenstein comunicava al Segretario di Stato che l’Antelope Cobbler del caso Lockheed era l’on. Aldo Moro”. E in una “riunione ad altissimo livello al Dipartimento di Stato, fu deciso di far tutto il possibile affinché la cosa fosse messa a tacere”.
Ma la cosa non fu messa a tacere. Proprio Dainelli la divulgò e la mise agli atti. E nonostante l’archiviazione della Corte Costituzionale e la conclamata natura di character assassination di quell’ipotesi costruita in qualche scantinato del Dipartimento di Stato, quel giorno proprio la Repubblica, il giornale che più aveva appoggiato la politica di Moro (e di Berlinguer), pubblicò quella “stupefacente deposizione”.
Ansia da scoop o ingenuità? Fatto sta che, nell’edizione straordinaria di quello stesso 16 marzo, dedicata alla strage di via Fani e al rapimento di Moro, quella notizia scomparve.
(*) Il Fatto Quotidiano, 18 marzo 2018