A settant’anni dalla traduzione da parte di Franco Ferrarotti – docente emerito di Sociologia alla Sapienza Università di Roma – del saggio di Simone Weil Note sur la soppression générale des partis politique pubblicata su Rivista di Comunità, organo del Movimento Comunità fondato da Adriano Olivetti, Marietti 1820 ripropone questo libello con l’introduzione di Ferrarotti.
Il saggio non perde col tempo la sua freschezza ed è molto interessante l’introduzione di Ferrarotti che appunta la sua attenzione sulla crisi dei partiti politici e a sua volta della ricerca sociologica che vede la scomparsa di uno dei suoi oggetti. Sottolinea Ferrarotti che i teorici “formalisti” della democrazia la ritengono una mera procedura senza considerazione di fattori psicologici, etici, ambientali. La democrazia finisce per essere decapitata e privata di aspetti valoriali.
Assistiamo a una crisi dei partiti politici, alla necessità di un aspetto etico e valori propositivi da rendere concreta l’aspirazione all’utopia. La democrazia rischia – l’abbiamo constatato – un appiattimento nel parlamentarismo quanto una deriva autoritaria che privilegia le funzioni dell’esecutivo. Si ricorda che il partito politico ha origini nel movimento giacobino, figlio della Rivoluzione francese, con tendenza totalitaria. Abbiamo assistito e assistiamo giorno per giorno alla decadenza dei partiti, ricordo l’accusa di partitocrazia e dopo il delirio berlusconiano l’emergere nel nostro Paese di movimenti, espressione dell’universo massmediatico e dei social, che suscitano emozioni e parlano all’emotività degli elettori. Un populismo dilagante in un’Italia in crisi di ideali dopo la fine dei partiti di massa e la scomparsa delle ideologie che interpretavano la complessità narrandola in base a una visione totalizzante.
Sostiene Ferrarotti nella icastica introduzione che il movimento sociale, attuale forma di partito debole e che ha sostituito le altre tipologie di partito, rischia di scivolare nel trasformismo e nel municipalismo poiché ha bisogno di idealità forti. E auspica una religione civile, insieme di miti fondativi, riti laici, valori, ideali, credenze condivisi in cui ci si riconosca come appartenenti a una Nazione. Fondamentale è la questione di regole etiche che le forze in campo accettino concordemente. La crisi della democrazia italiana è già in nuce dal post Risorgimento. L’Italia era definita dagli studiosi un arcipelago di culture.
Secondo Ferrarotti si distinguono due tipologie di cultura: la cultura tradizionale e quella dei mezzi di comunicazione di massa. La prima è legata alla logica del libro mentre la seconda privilegia l’immagine che colpisce ma diviene evanescente, vive il tempo di colpire, di toccare l’emotività, di parlare a quella che è stata definita la pancia dell’elettore che è divenuto spettatore in una atmosfera in cui latita la coscienza critica. L’uomo da sapiens è diventato videns, come sosteneva in un famoso saggio Giovanni Sartori, e, aggiungerei, è un voyeur privo di capacità di riflessione. Mentre Ferrarotti definisce il passaggio da homo sapiens in sentiens.
I movimenti affrontano i problemi volta per volta utilizzando un linguaggio che si rifà a quello dei massmedia e alla fiction prediligendo la paratassi, la coordinazione rispetto all’ipotassi, i periodi ricchi di subordinate propri della grande narrativa.
Dopo l’Unità d’Italia molti intellettuali proposero la costruzione di una religione civile anche nel nostro Paese. Ma, sostiene Ferrarotti, l’opposizione dei neoidealisti e poi il Fascismo come religione politica impedirono lo sviluppo di una forte religione civile. E, secondo alcuni studiosi, la presenza forte della Chiesa in Italia avrebbe funto da surrogato di religione civile di fatto sostituendola.
Si è parlato di familismo amorale per definire proprio una concezione di vita e dei rapporti interpersonali basato sulla soddisfazione degli interessi familiari piuttosto che sul bene generale. Si assiste allo sviluppo del potere della mediocrità, la mediocrazia. E i mezzi si trasformano in fini. L’Italia è l’unico Paese nel quale si parli di classe politica come entità separata, lontana dai cittadini, sorta di club chiuso che bada ai propri interessi. Sostiene Ferrarotti che si è separato lo Stato dai cittadini. La classe politica è arroccata come in una cittadella fortificata a difesa dei propri interessi.
Questo excursus mette ancor più in evidenza l’attualità del pamphlet di Simone Weil (1909 – 1943), filosofa e scrittrice francese di origini ebraiche emigrata negli USA e poi in Inghilterra dove collaborò con le autorità in esilio della Resistenza francese.
In Appunti sulla soppressione dei partiti politici Weil dimostra di vedere lontano preconizzando una situazione che tocchiamo con mano in molte nazioni. C’è da dire che l’Autrice prende come punto di riferimento il termine partito come si intende nel Continente europeo. Nei Paesi anglosassoni il termine party ha un aspetto di gioco, sport, competizione, una sorta di istituzione aristocratica. Nel Continente con la Rivoluzione francese si sviluppò il Club dei Giacobini ma con la guerra e il Terrore divenne un partito totalitario.
Sostiene Weil che l’esistenza dei partiti non significa che essi debbano continuare a esistere all’infinito. Solo il bene può giustificare la permanenza. Pertanto l’Autrice esamina se vi sia un elemento di bene nei partiti politici domandandosi se essi siano un male o posseggano una briciola di bene perché il male genera male. Ma cosa si intende per bene? Per Weil esso è la verità, la giustizia e l’utilità pubblica. Anche la democrazia, il potere della maggioranza, è un mezzo in vista del bene. Idea fondamentale è che solo il giusto sia legittimo mentre il delitto e la menzogna non lo sono. Sostiene Weil che l’ideale repubblicano derivi dal concetto di volontà generale espresso da Jean Jacques Rousseau in Il Contratto sociale. Studiosi come Talmon in La democrazia totalitaria hanno posto in evidenza tale aspetto in contraddizione con il concetto di democrazia. L’Autrice ritiene che durante la Rivoluzione francese i rappresentanti riuscissero per un breve periodo a esprimere le idealità e le esigenze dei cittadini. Terminata questa fase si tornò ad una fase totalitaria.
Secondo Weil il popolo non è posto nelle condizioni di esprimere il proprio pensiero e le sue esigenze mentre viene incoraggiata l’espressione delle passioni collettive. Ci si chiede, nel parlare di democrazia e repubblica, come permettere al popolo francese di esprimere il proprio sentire sui grandi temi della vita pubblica e, al contempo, riuscire a bloccare qualsiasi passione collettiva. Per Weil una soluzione sarebbe rappresentata dalla soppressione dei partiti politici. Ella esamina tre caratteri inerenti i partiti politici: un partito è una fabbrica di passione collettiva; il partito come una macchina soffoca l’espressione libera del pensiero del popolo; scopo fondamentale di un partito è lo sviluppo ad oltranza e quindi potenziamento di esso come fine.
Come non scorgere in questo saggio lo sguardo attento che coglie molto prima della crisi dei partiti nel nostro Paese ed in generale la deriva populista in tutta Europa una preconizzazione? Quando l’Autrice scrisse il saggio sull’Europa e il Mondo soffiavano venti di guerra e si affermavano in vari Paesi regimi totalitari.
Weil sostiene che nei partiti in cui il collettivo domina gli uomini si verifica un rovesciamento delle relazioni tra fine e mezzo. Le cose considerate come fini sono in realtà per natura, definizione, essenza, dei mezzi. Tra essi vi sono il Potere, lo Stato, il denaro, la produzione economica. Ritorna Weil e sostiene che solo il bene è un fine. Incapacità del pensiero collettivo di andare oltre il dominio dei fatti. E, aggiunge che lo stesso avviene per i partiti. strumenti per realizzare in pratica una concezione del bene pubblico. Avviene che spesso i partiti siano legati a una classe sociale ed esprimano le aspirazioni di essa e il bene pubblico finisca per coincidere col concetto che di esso possiede quella classe. Emerge una vaghezza delle dottrine. Weil ritiene i partiti siano costituiti pubblicamente e esprimano il senso di verità e giustizia dei loro adepti. Fondamentale mezzo di persuasione è la propaganda. Basta pensare a Hitler e alle oceaniche manifestazioni, come Norimberga, filmate con eccezionale maestria da Leni von Riefenstahl, regista del Reich, straordinario mezzo per manipolare le coscienze. Con l’avvento dei totalitarismi si vogliono controllare le menti. Penso a Goebbels, diabolico quanto acuto ministro della propaganda di Hitler. Il partito finisce per addomesticare il pensiero di colui che vi aderisce, in tal modo libera dalla fatica del pensare. Tutto ciò sviluppa fanatismo e aggressività verso i più deboli o i diversi. Già questo sarebbe un motivo sufficiente per l’abolizione dei partiti. Essi sono espressione del male. La loro soppressione sarebbe manifestazione del bene. In tal modo, non più riparati dalla macchina del partito gli elettori mostrerebbero il loro pensiero liberamente e le proposte per la risoluzione dei problemi concreti. Non esistendo più i partiti gli eletti potrebbero sposare le idee di altri anche alleandosi per sostenere le idee in cui si ritrovano. Si introdurrebbe la fluidità contrapposta alla cristallizzazione dei partiti. I partiti hanno contaminato la vita pubblica. I totalitarismi non ammettono neanche un’idea diversa da quelle che sono propugnate dai loro accoliti. Nulla esiste al di fuori della costellazione di idee e della dottrina di partito.
Weil sostiene che in varie manifestazioni di genere culturale, letterario, artistico, scientifico si finisce per creare una mentalità che produce atteggiamenti con spirito di partito. Un tale atteggiamento viene rilevato anche nell’ambito della Chiesa.
Fondamentale è la sottolineatura di come un atteggiamento settario attento allo spirito di partito finisca per sopprimere la riflessione, il libero esercizio del pensare.
E in conclusione, con una visione profonda e lungimirante Weil coglie uno dei mali di fondo che avvelenano la vita in tutte le sue manifestazioni. Una deriva più che mai attuale nel nostro Paese ma non solo.
Un saggio che a settant’anni dalla sua traduzione viene meritoriamente riproposto e che ci induce a riflettere grazie alla grandezza di Simone Weil, giovane intellettuale coerente col suo pensiero in ogni gesto della sua breve vita.
LA SOPPRESSIONE
DEI PARTITI
POLITICI SECONDO
SIMONE WEIL
E FERRAROTTI
CESIRA FENU
