A proposito di finanziamenti all'editoria, il giornalista napoletano Ciro Pellegrino ci segnala l’avventura di una testata quotidiana (che nel 2007 era arrivata ad essere sostenuta dallo Stato con un milione e mezzo di euro) durata dieci anni. Nata come nell’ottobre del 1998, la Verità, il giornale dei vicoli, era diventata Napolipiù, per poi essere acquistata da un gruppo milanese (legato al mondo delle corse dei cavalli, della Mondadori e dei contributi all’editoria) e chiusa, nel maggio di quest’anno. Una storia emblematica, da molti punti di vista. Anche da quello sociologico, politico e della cultura professionale.
CHIUDE NAPOLI PIU’ (*)
Il primo articolo porta la data ottobre 1998, era sui disservizi dei bus napoletani e mi tolsero uno “stronzo” di troppo dal pezzo. Poi ho imparato a descrivere stronzi nei pezzi ma senza scriverlo apertamente, quando ho deciso di voler davvero fare questo mestiere. Se fossi rimasto lì, quest’anno avrei festeggiato dieci anni di fila nella stessa redazione, sempre nel tentativo di imparare a fare il giornalista… E invece il quotidiano Napolipiù - già la Verità - chiude e con esso cala il sipario su un capitolo interessante, quanto complesso, della carta stampata napoletana. E della mia vita, ma questa è un’altra storia.
Quando si chiamava la Verità ed era il giornale dei “napoletani veraci”, ha formato, o in alcuni casi contribuito a far crescere e campare, tanti bravi professionisti. Qualcuno ora è in Rai, in Mediaset, qualcuno al Mattino di Napoli, qualcun altro ancora è andato a Roma e lì ha avuto fortuna. Forse, anzi, sicuramente, anche grazie a quella scuola così dura, cinica e spietata. Da cronisti di strada.
So bene che un qualsiasi giornalista, messo a raccontare la sua storia professionale, la fa diventare quella di Walter Cronkite pure se magari ha fatto sempre il placido passa-comunicati, l’allegro compilatore di brevi o il tranquillo culo di pietra. Tuttavia mi sforzerò di essere il più obiettivo possibile. la Verità e dunque noi, è stato il primo giornale a Napoli ad utilizzare le macchine fotografiche digitali; primo giornale a raccontare in maniera metodica, sistematica e approfondita neomelodici, disoccupati organizzati, comitati degli sfrattati napoletani; primo giornale del Sud ad avere un numero di telefono gratuito per le segnalazioni dedicato ai lettori.
Erano gli anni del Post-Tangentopoli e si raccoglievano i cocci di una società disgregata, senza punti di riferimento. I giornali erano il potere, la Verità era il megafono della rabbia di un’intera classe sociale di disperati. Fummo scomunicati sull’altare del Duomo di Napoli da quel bell’omino del cardinale Michele Giordano, ex arcivescovo di Napoli all’epoca accusato di usura («la veritaaaa? dovrebbeee chiamarsiii la bugiaa quel giornaleee»). E quante ce ne sarebbero da raccontare. Dalla maglietta contro i vigili e la polizia «Io non sono uno scippatore» agli Speciali “Scuola” e “Casa”, con i quali buttavamo in pagina chili di graduatorie per le immissioni in ruolo dei docenti e per le case popolari. Nomi fino ad allora accessibili solo dopo ore di fila a cercare su tabelloni scritti in corpo 4. Si salvava solo chi aveva un santo in paradiso nell’ufficio. Un giornale sopra le righe fin dal primo giorno con un mitico «Bill Gates, comprati il Napoli», quando la squadra di calcio era in cattive acque… E come dimenticare quel «Bassolino para il culo a Prodi» o «Niente bus nè auto: e che cazzo!».
Titolastri che facevano rabbrividire i nostri raffinati colleghi dei “Giornali Grandi” (si badi che non li ho definiti Grandi Giornali). E pure questo serviva, in quei tempi: stava nascendo l’Impero Bassolino con l’apporto di una stampa assopita per pigrizia e interesse e di un centrodestra consociativo e lo denunciavamo. La cosa ha comportato dei “costi”: la politica si guardava bene dal sostenerci, dunque addio alla pubblicità cosiddetta “istituzionale”, al supporto in ogni iniziativa. E quante volte ci siamo sentiti ospiti sgraditi dei Palazzi: negavano interviste, negavano perfino semplici informazioni. Ricordo l’allora assessore comunale alle Finanze, tal Roberto Barbieri, ex Ds e potente bassoliniano dell’epoca che non ci invitò alla conferenza stampa per l’emissione delle prime obbligazioni del Comune; dopo che avevamo gridato al “trucco”. Anni e anni dopo trasmissioni come Report ci hanno dato ragione.
Poi cronaca nera, quanta camorra, quanti morti uccisi. Ovunque avevamo gli scaffali pieni di foto e quando arrivarono le mitiche fotocamere Apple color marrone la gente che le vedeva diventava pazza («ma comm’è, nun ce sta ‘o rullino?»). Lo scanner radio della polizia sempre acceso, durante le faide, vomitava “attinti” da Scampìa ai Quartieri Spagnoli, come un’eterna litania. Non c’è uno di noi, dell’epoca, che non abbia fatto un “morto a terra”. Me ne ricordo uno io a Capodanno, avevo ancora il maglione sporco di pandoro, a vederlo col cervello a terra mi si gelò il sangue: era la prima volta, ma non ci ho mai fatto l’abitudine. Ai cortei dei disoccupati, i più facinorosi aspettavano noi, la nostra macchinetta digitale e il nostro taccuino per togliere le tende. Come fosse ieri mi ricordo il mitico Bruno dei disoccupati che aveva bloccato per ore la Circumvesuviana. Arrivai, scattai e lui: «Guagliù, è arrivato ‘o giurnalista, facimm ‘a fotografia e jammuncenne».
Ma come sintetizzare dieci anni di lavoro, crescita professionale; campare correndo dietro le notizie e spesso deragliare, con i tempi sanguisuga del giornale e dall’altra parte la vita privata che lanciava sos preoccupanti. Quante vicende personali ho risolto al bar sotto redazione, perché non avevo tempo di fare altro, non avevo (e non ho…) mai tempo.
la Verità ha avuto i contributi pubblici. All’inizio non arrivavano quattrini e fioccavano gli abusivi ma quand’è arrivata la boccata d’aria del contributo pubblico e con esso il meccanismo giornalistico ha iniziato ad ingranare seppur piano piano, sono arrivati i contratti. Non so quanti giornalisti professionisti sono stati formati, ma penso che in 6-7 anni saranno stati poco meno di una trentina. Quel giornale è costato meno di una scuola di specializzazione universitaria e da lì sono usciti giornalisti veri. Se non avevi voglia (e stoffa) non c’erano cazzi. E, scusate se lo dico, “dall’alto” di 31 anni d’età, 12 dei quali buttati tentando di imparare, ma forse per questo quando vedo certe scene di “colleghi” o aspiranti tali, di studenti e apprendisti stregoni, mi viene in mente la frase di quel tale: «Colleghi noi? Beh, siamo iscritti allo stesso Ordine professionale, ma non direi che siamo colleghi…».
E ancora: ricordo che non avevamo l’abbonamento Ansa e che un amico ci mandava i fax dei lanci d’agenzia quando c’erano i grandi avvenimenti e non dovevamo prendere buchi; ricordo che un giorno mancò l’elettricità fino alle 8 di sera e il giornale avrebbe dovuto chiudere alle 22. Quelle due ore successive furono uno sforzo collettivo rimasto nella storia. E la prima volta che ho chiuso una pagina con una notizia esclusiva e solo mia: Bankitalia blocca la vendita della “Società pel Risanamento di Napoli”. Notizia beccata alla soglia dell’ascensore di un hotel. Mi tremavano le mani dai nervi a scrivere. Mi ricordo poi il Global Forum e che mi sono fatto dai giardini del Maschio Angioino a piazza Municipio preso a calci in culo da un esponente delle forze dell’ordine preoccupato di vedermi lì così, con la macchinetta digitale (che nel frattempo si era evoluta) e col solito block notes. Era il marzo del 2001, pochi mesi dopo sarebbe andata in scena la tragedia del G8 di Genova. Sarà l’1 per cento di tutto, ma non voglio farmi la biografia. Certo non ci sono stati solo ricordi belli, ma per l’occasione preferisco ricordare le cose positive.
Dunque Napolipiù - la Verità (nel corso di dieci anni è cambiata la testata, sono cambiate tante cose) chiude i battenti. Motivi di opportunità economica, decisioni societarie, nuovi progetti. Ne parla - e da tempo - un poco tutto quel piccolo paesello costituito dai giornalisti napoletani: al Consiglio dei ministri di qualche giorno fa mi hanno avvicinato almeno quattro-cinque persone per chiedermi lumi.
La cosa che mi inquieta è il silenzio. Alla gente poco importa se una voce si spegne, i politici ne approfittano per stilare un altro comunicato da buttare nell’Ansa del giorno. Nel frastuono di una città che avrebbe anzi bisogno di sentir raccontare da più voci il suo vero, quotidiano, dolore a dispetto di opprimenti bavagli, mancherà, da lunedì, una buona voce. Senza che nessuno abbia mosso un dito per evitarlo. Significa qualcosa, ne dovremmo essere tutti preoccupati.
(*) da Giornalisticamente, il blog di ciro pellegrino, 25 maggio 2008
LA VERITA’ SI DA’ ALL’IPPICA, NAPOLIPIU’ VIENE SEPPELLITO (*)
Dopo dieci anni, cinque mesi e dieci giorni scompare Napolipiù, quotidiano partenopeo partito con la testata la Verità. L’ultimo numero è andato in edicola il 25 maggio, il giorno successivo ha salutato i lettori Napolisport, il numero settimanale del lunedì. la Verità nasce nel dicembre del 1997 per iniziativa di Giorgio Gradogna e della cooperativa Editoriale La Verità, che conta tra i soci fondatori Domenico Di Meglio, Enrico De Girolamo, Emilio Gioventù, Carmen Plotino, Luigi Roano, Marco Di Bello e Antonio Di Costanzo, gli ultimi due rimasti fino in fondo a vivere l’avventura del giornale.
Il progetto editoriale è nella testata: l’obiettivo è diventare la voce dei vicoli, il quotidiano dei napoletani veraci, l’occhio critico nei confronti dei Palazzi; azzecca alcune campagne (ingaggia un duello con il cardinale Giordano; polemizza in maniera aspra con il prefetto Profili), tira fuori tante notizie, arrivano minacce e querele; ma non riesce a ritagliarsi uno spazio in edicola. E cominciano gli esperimenti alla ricerca della formula giusta: viene lanciata una nuova testata (è il settembre 2002); il formato viene via via ridotto; si tentano varie formule editoriali; il risultato in edicola però non cambia.
A dare ossigeno alla cooperativa arrivano dal 2000 i contributi del finanziamento pubblico che consentono di regolarizzare le posizioni di giornalisti e amministrativi. Al momento della pubblicazione dell’ultimo numero, Napolipiù conta dodici redattori, di cui sette graduati: con il direttore Gradogna, Donatella Gallone, Marco Di Bello, Gabriele Scarpa, Maurizio De Santis, Antonio Di Costanzo e Antonio Vastarelli. Un quadro contributivo Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, certo non ordinario nel panorama editoriale campano, connotato soprattutto da precarietà e abusivato.
Nel 2007 il contributo dello Stato ha superato il milione e mezzo di euro; nonostante ciò il bilancio è in perdita. “Nell’ultimo biennio – dichiara Giorgio Gradogna, dalla fondazione anima del giornale, direttore responsabile di Napolipiù e amministratore unico della cooperativa Editoriale La Verità – abbiamo chiuso bilanci con un rosso profondo: soltanto nel 2007 le perdite hanno toccato i 440mila euro. La situazione era diventata ormai insostenibile, tant’è che già da un anno avevo annunciato la decisione di farmi da parte e sei mesi fa avevo presentato le dimissioni da amministratore. A questo punto come cooperativa avevamo davanti tre strade: ricapitalizzare per azzerare le perdite attraverso un finanziamento soci; mettere in liquidazione la società; lavorare a un piano editoriale che garantisse entrate diverse e più consistenti. Ne abbiamo discusso all’assemblea dei soci convocata nello scorso marzo e ho ricevuto il mandato di esplorare la terza ipotesi.
Ho preso vari contatti e ho individuato un editore milanese, Giuseppe Tatarella, con il quale abbiamo concluso un accordo, che a fine aprile è stato approvato dalla cooperativa e subito dopo comunicato al comitato di redazione (Giuseppe Porzio, Gabriele Scarpa e Antonio Vastarelli) e all’Associazione napoletana della stampa. L’intesa prevede la cessione da parte della srl Mercati popolari della proprietà della testata la Verità alla Risma spa per un importo di poco superiore al milione di euro, l’ingresso nella cooperativa Editoriale La Verità di nuovi soci con competenze specifiche nel mondo dei cavalli e il trasferimento della sede operativa da Napoli a Milano.
Poiché nessuno dei redattori di Napolipiù ha accettato il trasferimento a Milano, è stata decisa la messa in mobilità con il licenziamento dei dodici giornalisti in organico, operazione che verrà completata nell’arco di cinque mesi: sette redattori sono stati licenziati il 25 maggio, Gradogna sarà fuori dal 2 luglio, gli ultimi quattro (Bonardi, Del Prete, Porcaro e Vastarelli) andranno via ai primi di ottobre.
Ma chi è l’uomo che ha risolto i problemi di bilancio de La Verità? Sessantadue anni, origini pugliesi, natali milanesi, Giuseppe Tatarella, cugino dello scomparso Pinuccio Tatarella, vice presidente del consiglio nel primo governo Berlusconi, si è sempre occupato di editoria. “Per venti anni, dal 1969, - dichiara a Iustitia - ho lavorato alla Mondadori, occupandomi di vari periodici: Epoca, Panorama, Dolly, che ho praticamente inventato, Guida tv, Sale e pepe, Bolero, Storia illustrata, Confidenze. Nel 1989 l’ex presidente di Mondadori Sergio Polillo mi propose di occuparmi di giornali ippici: cominciai con Cavalli e corse, seguito da Trotto Sportsman, testate poi fuse ne Lo Sportsman fino al dicembre 2007, quando la cooperativa di cui faccio parte, la Coedip, ha deciso di camminare da sola con un nuovo quotidiano, Il Trotto & Turf (in inglese il mondo delle corse, ndr). Il giornale, che esce tutti i giorni e costa un euro e mezzo, ha una tiratura media di ventimila copie, il formato del Corriere della sera, una foliazione di 28 pagine che salgono a 48 il sabato e ha una redazione formata da undici giornalisti, direttori inclusi (Tatarella, dal ‘96 giornalista pubblicista, direttore editoriale e Marco Trentini direttore responsabile, ndr)”.
la Verità se ne va a Milano, Napolipiù viene seppellito, ma potrebbe risorgere in autunno come settimanale partenopeo di inchieste, con quattro o cinque dei vecchi redattori guidati da Gradogna che per ora si occupa soltanto del bimestrale Charme, di cui è proprietario e direttore. Intanto con la cooperativa Edizioni Gazzette Maurizio De Santis è subito partito con un nuovo settimanale che recupera la testata utilizzata per il numero del lunedì, Napolisport.
(*) dal sito iustitia, 27 maggio 2008