A ottant’anni dalla liberazione da parte dell’Armata Rossa del Lager di Auschwitz il 27 gennaio 1945 e dalla fine della Seconda Guerra Mondiale con la caduta di Berlino e la disfatta del Nazismo, anche quest’anno si celebra la Giornata della Memoria dedicata a rinnovare il ricordo della Shoah affinché si levi alta la condanna di qualunque discriminazione e persecuzione in nome della razza e della purezza del sangue che tanto dolore e sofferenze ha provocato.
Ora che i testimoni oculari della Shoah vanno scomparendo spetta a noi, come la Senatrice Liliana Segre ha sottolineato, figli e nipoti, rinnovare il ricordo e vegliare affinché il male assoluto del Novecento non ritorni, quel buio della ragione che Goya tanto rappresentò nei Disastri della guerra anticipando di secoli ciò che si sarebbe verificato nel civile Novecento.
L’Uomo, capace di volare fino alle stelle lo è altrettanto di precipitare nel baratro dell’abiezione, nel buio assoluto del Novecento il secolo più violento della Storia, secondo vari studiosi. E’ la Notte, magistrale viaggio nell’abisso che il Nobel Elie Wiesel ci ha donato, quella notte della ragione che a lui rabbino fece perdere la fede. Un secolo breve che si annuncia icasticamente con L’Urlo di Munch, espressione dell’angoscia esistenziale, l’angoscia cosmica.
In un periodo storico in continua evoluzione, in cui si assiste a rigurgiti di antisemitismo, razzismo, emergere di omofobia e sovranismi, terrorismo, guerre in Ucraina, Siria, Libano, Palestina, per non parlare delle guerre dimenticate, in cui attimo per attimo siamo bombardati da notizie tragiche e tutto gira come impazzito, sembra di essere seduti su una bomba a orologeria che rischia di deflagrare mettendo in pericolo la vita sulla Terra, quella aiuola cara al Poeta che è l’unico pianeta di cui disponiamo e che abbiamo il dovere di salvaguardare. Dovremmo perciò riflettere su ciò che è accaduto e che potrebbe accadere.
Molte sono le pubblicazioni sulla Shoah che propongono riflessioni e promuovono la conoscenza di un passato che non passa e che dovrebbero far pensare alla natura umana. Homo homini lupus, sosteneva Hobbes e tutto farebbe pensare così ma, riflettendo a fondo, emergono tanti esempi, proprio nel periodo più cupo della Storia contemporanea, che tengono desta la luce della speranza.
Sono storie minime di eroi per caso, che con forte umanità, empatia, coraggio hanno salvato ebrei perseguitati, in fuga dai Lager. Troviamo molti esempi nell’antologia curata da Sara Rattaro Gli Eroi della Shoah (Morellini). Si tratta di racconti che narrano vicende che aprono il cuore.
Storie di Giusti tra le Nazioni che hanno salvato migliaia dalla deportazione accogliendoli e nascondendoli a rischio della propria vita.
Una rete di solidarietà che fa sperare.
Ogni racconto è narrato con sapienza narrativa da uno scrittore e ci permette di conoscere tante vicende delle quali molti protagonisti non fecero parola neanche con i familiari. Persone normali, alcuni sacerdoti, medici, ufficiali militari, carabinieri e tra essi indimenticabile l’operato di Papa Giovanni XXIII.
Vi è un medico, del quale narra con maestria Francesca Monaco in Il dottor K, come il Professor Giovanni Borromeo che, poiché aveva rifiutato la tessera del partito fascista si era visto negare il posto da primario. Ma il Priore dell’Ordine dell’Ospedale Fatebenefratelli, padre Maurizio Bialek,
lo chiamò nel 1934 a dirigere l’Ospedale sull’Isola Tiberina. Proprio lì durante la retata nel Ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 vennero accolti molti ebrei facendoli passare per degenti. Borromeo inventò addirittura una malattia contagiosissima e letale per cui era pericolosissimo ogni contatto. Si trattava, un nome inventato, della Malattia K. Il sangue freddo del medico e del priore salveranno la vita agli ebrei affetti dal morbo costringendo le SS a non entrare nel reparto.
Vi è la vicenda di Nino Marchetti narrata con delicatezza, sensibilità e mano sicura da Grazia Riggio ne L’uomo che non abbassò lo sguardo. Nata a Messina, dove vive, l’Autrice cominciò a scrivere da bambina e ha partecipato a scuole di scrittura pubblicando per Morellini racconti su varie antologie. Riggio ci fa rivivere la straordinaria storia di Nino Marchetti. Nino, nato a Messina, Riviera Paradiso, il 6 aprile 1914, era un fortissimo nuotatore che si arruolò come marinaio di leva nel 1934 ma per via delle vicende belliche resterà in Marina per undici anni, fino al 1945. Egli si trovava sulla nave Camogli nel Mar Egeo, Sporadi meridionali, nell’Ottobre 1940 quando ricevettero una segnalazione di naufragio di un battello sugli scogli affioranti di un’isola deserta, “Kamila Nisi”. Qui un battello fluviale partito da Bratislava lungo il Danubio, carico di ebrei che fuggivano alle persecuzioni naziste, diretto in Palestina, si era incagliato nel pieno della burrasca col suo carico di speranze, vissuto, vite. Nino si offrì di salvare quelle persone a rischio della vita. Si tuffò tra i marosi e trasse in salvo i naufraghi accogliendone 15 nella sua cabina. Essi furono condotti in un campo a Rodi. Qui Nino continuò ad aiutarli nonostante la persecuzione e i maltrattamenti di cui fu oggetto da parte dei nazisti.
Tornato alla vita normale non fece parola ad alcuno e solo quando due naufraghi lo troveranno nella sua Riviera nel 1972, si verrà a sapere tutta la vicenda. Nino sarà invitato in Israele. Otterrà dalla Marina croci al merito e nel 1980 il Presidente Pertini lo nominerà Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica per atti di altruismo e coraggio. Avrà anche l’attestazione dal Presidente dell’Unione delle Comunità israelitiche italiane. Nino si spegne nella sua Città nel 1992.
La sua storia verrà narrata dal figlio Giuseppe Marchetti Tricamo, giornalista già dirigente Rai e docente a La Sapienza Università di Roma, in La rotta della speranza (Ibiskos Ulivieri).
Scrive Grazia Riggio di aver scelto di raccontare la storia di Nino perché è rimasta colpita dalla determinazione in un periodo in cui pochi avevano capito cosa stesse avvenendo in Italia. Aggiunge ancora di aver visto in lui l’uomo che soccorre il prossimo per istinto, non per interesse; il marinaio che rispetta le autorità, ma con il coraggio di disobbedire a ordini disumani; l’eroe che tramanda l’umiltà di non sentirsi tale. Conclude l’appassionante e ben costruito racconto: Nino Marchetti: un eroe che si sente solo un uomo.
Le vicende sono rese con forte empatia e con notevoli capacità narrative. Emerge uno spaccato di un’Italia che con decisione resiste, non segue i dettami del totalitarismo imperante mettendo a repentaglio la propria vita per gli altri.
Tutte le storie sono appassionanti e i narratori dimostrano notevoli capacità affabulatorie e di indagine psicologica e interiore dei vari protagonisti e trasmettono con profondo lirismo le emozioni, la paura, il riscatto. Emerge un’umanità schiva, lungi dalle celebrazioni. Donne e uomini ma anche intere comunità, come in Danimarca, che hanno salvato migliaia di vite rese ancor più fragili e vulnerabili dalle circostanze.
Una lettura che è immergersi nella profonda interiorità dell’animo dell’Uomo e in un’epoca trascorsa ma mai passata che deve restare viva, a monito perpetuo, nei ricordi e nella storia dell’umanità.