Prima di parlare della tanto dibattuta questione degli orsi del Trentino voglio ringraziare pubblicamente Maria Iosé e tutti quelli che si stanno impegnando per tenere vivo questo blog, perché è un modo per tenerci vicino Beppe e sopportare meglio il rimpianto e la tristezza che la sua assenza ci ha lasciato addosso.
Ma veniamo agli orsi. Tanto si è detto e si continua a dire dopo il tragico incontro che in Val di Sole è costato la vita al giovane Andrea Papi e molti sono quelli che pontificano pur senza essere esperti di fauna selvatica. Pur essendo biologa non sono un’esperta neanche io, ma mi sento di dire che l’intenzione manifestata dal presidente della Provincia Autonoma di Trento, Fugatti, di sopprimere l’orsa in questione, nonché altri esemplari che si erano rivelati in precedenza aggressivi, è inaccettabile. Non ci si può vendicare di un animale selvatico che, come diverse persone hanno già commentato, ha semplicemente “fatto l’orso”. Un orso non attacca per cattiveria, per scelta, ma in risposta a un istinto che lo porta a difendere il suo territorio, i suoi cuccioli o semplicemente sé stesso. Non dimentichiamoci infatti che per secoli e secoli gli orsi, così come tanti altri animali selvatici, sono stati cacciati dagli esseri umani per la loro carne, per la pelliccia, per tenerli lontani dagli allevamenti, dai frutteti, dagli orti e dagli alveari. Ma ricordiamoci anche, ed è ancora peggio, che gli orsi venivano catturati per essere esibiti nelle fiere di paese, nei circhi o nei giardini zoologici. L’istinto e le esperienze negative nei rapporti con gli umani, trasmesse alla discendenza, fanno sì che l’orso sia diffidente nei nostri confronti e si tenga alla larga da noi. Ed è bene che sia così, perché proprio quando perde questa diffidenza possono venirsi a creare situazioni di pericolo, sia per l’animale stesso (penso alle vicende dell’orso Juan Carrito nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise) che per gli esseri umani. Per questo, ad esempio, è sconsigliato, oltre che vietato dalla legge, dare del cibo agli animali selvatici: questo comportamento infatti li confonde, rendendoli confidenti e generando reazioni imprevedibili e potenzialmente pericolose.
In un territorio fortemente antropizzato come è quello del Trentino gli spazi a disposizione degli orsi probabilmente non sono più adeguati, anche perché la possibilità di reperire facilmente cibo grazie alle attività umane fa sì che la naturale capacità portante dell’ambiente risulti alterata. Questo fa sì che un numero maggiore di orsi rimanga su un dato territorio, invece di disperdersi su areali più vasti, come sarebbe naturale. Per capacità portante si intende la quantità di individui di una data specie – in questo caso l’orso – che un determinato territorio è in grado di sostenere, grazie alle risorse trofiche presenti ed alla disponibilità di habitat idonei per la riproduzione. Se viene messo a disposizione più cibo, come ad esempio succede nelle città a causa dei rifiuti, gli animali selvatici che hanno uno spettro alimentare più ampio, o che semplicemente sono più adattabili, accrescono in modo incontrollato le loro popolazioni - lo abbiamo già visto accadere con i gabbiani, le cornacchie, i piccioni, i cinghiali – e questo innaturale affollamento genera disfunzioni nell’ecosistema e tra l’altro può causare malattie ed epidemie.
Probabilmente è accaduto questo anche con gli orsi in Trentino - pensiamo ai meleti, alle vigne, alle coltivazioni di frutti di bosco, agli alveari- e forse non se ne era tenuto abbastanza conto quando si è ideato il progetto di reintroduzione Life Ursus. Credo che ci si aspettasse che i nuovi nati, una volta raggiunta l’indipendenza dalla madre, si sarebbero dispersi allontanandosi dal luogo della nascita e invece non è stato così, o comunque lo è stato molto meno del previsto.
I progetti di reintroduzione di grandi carnivori in un territorio in cui una volta erano presenti ma dove, per colpa dell’uomo, non lo sono più da tanti anni, oppure dove ne è rimasto un numero talmente esiguo da non poter dar vita ad una popolazione vitale, vengono portati avanti con l’intento di salvare una specie dall’estinzione locale, ma anche con la speranza che possa riportare in equilibrio un ecosistema che non lo è più, perché ad esempio sono cresciuti troppo gli erbivori come il cervo e il capriolo. Questa funzione la sta svolgendo naturalmente (perché non è stato reintrodotto dall’uomo) il lupo, predatore apicale le cui popolazioni stanno crescendo ed espandendo il loro areale in tutta la penisola per i motivi già ricordati in un precedente articolo (17/05/2021). Ma i progetti di reintroduzione, che per lo scopo che si prefiggono potrebbero apparire un’ottima idea a priori, in realtà lo sono solo se vengono studiati a lungo, nei dettagli e senza fretta, tenendo conto di tutte le realtà già presenti nel territorio in oggetto e delle loro interazioni; inoltre devono coinvolgere, lavorandoci insieme, le istituzioni territoriali e amministrative limitrofe, proprio per il fatto che gli animali tendono a disperdersi anche a grande distanza dal luogo di rilascio. Ma fondamentale è il coinvolgimento, fin dalle fasi iniziali del progetto, della popolazione residente, che va informata, preparata ed educata, ma anche ascoltata, perché i progetti calati dall’alto spesso e volentieri non vanno a buon fine. Meglio rimandare, aspettare e riprovare più avanti che partire a tutti i costi quando la popolazione non è ancora pronta ad accogliere una novità che non ha avuto il tempo di capire ed assimilare. E poi, una volta che il progetto è partito, questa attività di formazione ed educazione va portata avanti e rinnovata negli anni, perché si tratta di progetti a lungo termine, che quindi interesseranno via via nuove fasce di popolazione. Probabilmente anche questo è mancato in Trentino, visto che in questi giorni da parte di più persone è stata fatta presente la scarsità di cartellonistica che illustrasse le attività consentite e quelle vietate nel Parco Nazionale Adamello Brenta e nelle aree adiacenti. Ed è probabilmente anche stato carente il controllo da parte degli enti preposti.
IL PROGETTO LIFE URSUS Estratto da: https://grandicarnivori.provincia.tn.it/L-orso/Storia-sull-arco-alpino/Il-Progetto-di-reintroduzione-Life-Ursus
Nel 1999, per salvare il piccolo nucleo di orsi sopravvissuti da un’ormai prossima ed inevitabile estinzione, il Parco Adamello Brenta con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica (l’attuale I.S.P.R.A.) usufruendo di un finanziamento dell’Unione Europea, aveva dato avvio al progetto Life Ursus, finalizzato alla ricostituzione di un nucleo vitale di orsi nelle Alpi Centrali tramite il rilascio di alcuni individui provenienti dalla Slovenia.
Prima della realizzazione del progetto, l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica era stato incaricato di analizzare la fattibilità e la probabilità di successo dell’immissione (Studio di fattibilità). Furono analizzati 60 parametri, tra caratteristiche ambientali e aspetti socio–economici, su una superficie di 6500 km2, ben oltre i confini della Provincia di Trento. I risultati furono incoraggianti: circa 1700 km2 risultarono essere idonei alla presenza dell’orso e più del 70% degli abitanti si dissero a favore del rilascio di orsi nell’area.
Tra il 1999 e il 2002 vennero rilasciati 10 orsi, nati in libertà in Slovenia meridionale. La maggior parte di essi si adattò bene al nuovo territorio. Nel 2002 e nel 2003 si registrarono il primo e il secondo parto, i quali furono nel tempo seguiti da molti altri eventi riproduttivi. L’obiettivo del progetto Life Ursus era di consentire nell’arco di qualche decina di anni la costituzione di una popolazione vitale di almeno 40-60 orsi adulti, la cui presenza avrebbe interessato molto probabilmente anche le province limitrofe. Non erano previsti ulteriori rilasci.
I risultati del progetto Life Ursus, lo abbiamo saputo in questi giorni, sono stati, sotto l’aspetto quantitativo, molto superiori alle aspettative: sono infatti ormai presenti un centinaio di orsi, che però sono rimasti tutti, tranne un esemplare che si è spostato in Austria, concentrati nella stessa zona del Trentino dove erano stati rilasciati. Probabilmente anche per questo fatto il progetto è apparentemente “sfuggito di mano” ai responsabili.
Errori quindi ne sono stati fatti senz’altro e ci è andato di mezzo un ragazzo innocente, seppure magari un po’ imprudente, ma in ogni caso non è accettabile, come hanno detto anche gli stessi genitori di Andrea, una ritorsione, praticamente una vendetta nei confronti di un animale selvatico, che è stato messo, senza alcuna responsabilità da parte sua, in una situazione a rischio proprio dalla specie che si è autodefinita sapiens sapiens. Mia madre diceva, quando io e mia sorella, da ragazzine, litigavamo: “chi ha più giudizio lo usi”. Spero che ci si voglia rendere conto che fra noi e l’orso dovremmo essere noi quelli che hanno più giudizio e quindi, se l’orso “fa l’orso”, siamo noi a dover “fare l’uomo”.