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GIULIANO CAPECELATRO

  • LOTTA ALLA MAFIA,
    BINGO! PER LA DESTRA
    E LA SINISTRA ROSICA

    data: 17/01/2023 19:04

    Bingo! La politica-spettacolo - processo in atto ormai da oltre mezzo secolo, ma, almeno agli inizi, con attori di ben altro calibro - trascende nella sua versione sguaiata e sincopata: il videogioco. Bingo! titola giulivo un quotidiano, che nell’amena e disorientante topografia parapolitica viene collocato a destra.
    Bingo, vale a dire vittoria, colpo da maestro, sarebbe la cattura del mafioso latitante Matteo Messina Denaro. Che ipso facto viene attribuita al provvidenziale avvento della destra al potere. Ora che c’è lei, caro lui, nun c’è trippa pe’ gatti (andrebbe chiosato, per mantenere un’unità stilistica).
    È il trionfo dell’adolescenzialismo, cui è oggi ridotta la dialettica politica. Una disputa tra scugnizzi testardi e malandrini, divorati unicamente dall’ansia di sferrare il colpo mancino che li farà trionfare sull’avversario.
    Adolescenziale, va da sé, anche il linguaggio che illustra queste imprese. “E la sinistra rosica”, puntualizza il quotidiano. Che è appunto il commento giubilante di un tredicenne che vede l’antagonista caduto nella polvere, vinto e umiliato: “Ahò, stacce, nun rosica’!”. In un’atmosfera infantil-populista che riecheggia le commediacce cinematografiche con il discolo Pierino.
    Non si abbozza neppure un’analisi seria, concreta dell’evento. La cattura del boss, latitante da un trentennio, decreta davvero la fine della mafia, che, ricordiamolo, oggi è una multinazionale? (Ben argomentata e illuminante, a questo proposito, l’intervista a don Luigi Ciotti su Avvenire). O si tratta semplicemente di un cambio della guardia al vertice? Con il vecchio capo, ormai male in arnese, che preferisce lasciarsi prendere e farsi curare in santa pace.
    Predomina una strategia comunicativa che ha i suoi pezzi da novanta nei titoli (la prima, e spesso l’unica porzione del giornale ad essere letta), che devono colpire, anzi scioccare l’immaginazione, e che si potrebbe definire dell’attraper les couillons (traduzione castigata: acciuffare i gonzi). E che, alla resa dei conti, non comunica un bel niente. Ma opportunamente distoglie lo sguardo dei cittadini dal vero nocciolo delle questioni politiche ed economiche.
    I lettori, l’opinione pubblica, vengono infantilizzati attraverso l’uso premeditato, sapiente di espedienti scenici, trompe-l’oeil, artifici barocchi per imbambolare lo spettatore e ridurre il significato di un’operazione comunque importante alla schermaglia destra-sinistra, alla baruffa scervellata tra monelli.
    Con la destra che, nel caso specifico, può affrettarsi ad allestire il carro trionfale per i suoi condottieri, per farli sfilare impettiti sui luoghi della vittoria, tra ali plaudenti di coreuti che intonano, a dileggio dei sinistri rosicanti, l’inno d’obbligo: “E nun ce vonno sta’!”. 

  • IMPERSCRUTABILI<
    E MISTERIOSE
    SONO COME SEMPRE
    LE VIE PER LA DEMOCRAZIA

    data: 23/12/2022 16:18

    È triste dirlo. La parola Democrazia comincia a darmi pesantemente sui nervi. Fa venire in mente la Taide dantesca. La usano tutti, destra sinistra centro, senza pudore, e ognuno secondo le proprie personali inclinazioni e desideri. Non di rado con il corollario vivificante di Libertà. Abbinate, Democrazia e Libertà, sollecitano corde epiche ben più di Thelma e Louise.
    Qui, in Occidente, faro del mondo civile, trabocchiamo di Democrazia- per non dire di Libertà-, ne abbiamo fin sopra i capelli, non sappiamo più dove stiparla, che farcene di tanta abbondanza, tanto che dobbiamo esportarne ad ogni costo, e con ogni mezzo (il fine giustifica i mezzi), il surplus.
    In Iraq, per esempio, fino a poco tempo fa irredimibile impero del male, e oggi miracolosamente sulla via della redenzione; sotto la benevola ala occidentale, va da sé. Il che giustifica la visita di eminenti personalità di stato.
    Dunque l’Iran, che con la sua salvifica conversione si è rivelato un paese “che crede nella democrazia”. Con queste parole si è presentato a Baghdad il nostro signor Presidente del Consiglio. Una prospettiva mistica si cela in questa frase semplice, quasi elementare. Basta crederci, e la Democrazia, sia pure con i suoi tempi- bisogna purificarsi ben bene dalle scorie del Male- discende dalle regioni celesti, si incarna e si impianta tra gli eletti.
    Allora sì. Vale la pena, per noi che respiriamo Democrazia dalla nascita, che siamo talmente saturi di Democrazia che ci scappa da ogni poro della pelle, che siamo da sempre indefessi apostoli, dispensatori di Democrazia, vale la pena stare a fianco “a 360 gradi” del paese redento.
    Espressione un po’ esoterica. Da sacerdote di un culto che si rivolge agli adepti. Sono tanti, 360 gradi, costituiscono una totalità. Chissà a cosa può corrispondere, al netto del dato spirituale, nella prassi quotidiana.
    Intanto quell’espressione, 360 gradi, è ragione sufficiente perché il nostro signor Presidente del Consiglio, rigorosamente in tuta mimetica per affermare una consustanziazione, si rechi a far visita a quegli uomini che in concreto agevolano l’esportazione e la crescita della Democrazia. Compito avvolto dal massimo segreto, a parte la generica indicazione di contrastare gli emissari delle potenze malefiche, raccolti sotto la sigla Daesh.
    Un fitto mistero circonda le loro attività. La Missione, come scrivono, sotto dettatura, i giornali. Evidentemente, come per la Provvidenza, imperscrutabili, misteriose sono le vie della Democrazia. E le epifanie con cui si presenta a chi ci crede, toccato dalla fede. 

  • L'ARROGANZA DEL POTERE:
    DA J.F.K CON "BLONDE"
    AI PRIVILEGIATI DI SEMPRE

    data: 07/10/2022 18:58

    C’è una sequenza di "Blonde" (la mirabile pellicola di Andrew Dominik su Marilyn Monroe, a tratti estetizzante, molto spesso dura fino a risultare contundente per gli occhi e la psiche) che non solo in qualche modo riassume tutto il film, ma va anche molto oltre.
    È quando John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Usa, fa venire l’attrice da Los Angeles su un aereo privato, la fa scortare sino all’albergo in cui si è fermato, la accoglie distratto nella sua camera, la cui porta resta aperta con, all'esterno, un uomo di guardia. E, mentre lui continua imperturbato a telefonare, la esorta a praticargli una fellatio.
    Una scena del tutto priva di passionalità, di ardore dei sensi, di erotismo, del tutto scevra di empatia tra due esseri umani che si ritrovano uno davanti l’altro, affatto estranea a quella condizione di reciproco abbandono e piacere denominata amore.
    Tutto si riduce all’esecuzione meccanica di un atto che, formalmente, ricade nella sfera della sessualità. Ma nei fatti è una prestazione d’opera come un’altra; un lavoro cui corrisponde un salario, che nel caso specifico non arriva direttamente dalle mani del presidente. Come scrisse Norma Jean Baker (vero nome dell’attrice) nel suo diario: “Ho fatto la mia carriera in ginocchio… e non per pregare”.
    È dunque l’insopportabile, bieca iattanza del potere ad essere vividamente rappresentata. Il potere che si appropria persino dei corpi delle persone e ne fa l’uso che più gli aggrada.
    Kennedy non aspira ad unirsi con un’altra persona, non concepisce un rapporto paritario. Non sa nulla di Norma Jean Baker. Vuole soltanto ribadire, al mondo e a sé stesso, il suo strapotere, affermare il proprio dominio Arrivare là dove gli altri possono solo sognare di arrivare.
    Marilyn Monroe è sulla cresta dell’onda. È una diva acclamata, ammirata e desiderata da centinaia di migliaia di uomini. A lui basta schioccare le dita, fare un cenno ai suoi scagnozzi per averla completamente alla sua mercé, per disporne come più gli piace.
    Una storia di oltre sessant’anni fa? Macché. De nobis fabula narratur. L’algida arroganza impersonata da Kennedy è lo specchio di un mondo dove il potere fa e disfa secondo i propri capricci. Né più né meno quello che accade anche oggi, dove il Denaro, forma diabolica del Potere, regola in maniera ferrea, e quasi omicida, i rapporti tra gli abitanti del pianete Terra.
    In una lotta insensata quanto belluina a chi riesce ad arraffarne, con qualsiasi mezzo, di più a scapito degli altri, che scivolano nell’indigenza o, al meglio, si barcamenano. Un esiguo pugno di privilegiati; un migliaio di individui sui quasi otto miliardi di abitanti. Che dalla torre d’avorio della ricchezza, dalla granitica roccaforte del Potere, tra una passeggiata nello spazio e un salto in qualche paradiso fiscale per godere con la vista dei propri averi e depositarne di nuovi, con uno schiocco di dita fanno girare il mondo a piacimento. 

  • MA QUANTE INSOSPETTABILI
    PROVE DI GENIALITA'
    DA QUESTI NOSTRI POLITICI

    data: 23/08/2022 18:31

    Bistrattata, schernita, quando non insolentita, spesso additata al pubblico ludibrio sui media, nei bar e sui muri delle città, in questa tornata elettorale la nostra classe politica sta affermandosi per insospettate doti di intraprendenza, creatività, e addirittura di autentica genialità.
    Soltanto il povero Letta si aggira smarrito, come quel tale che è rimasto col cerino in mano alla fine del gioco e non sa a che santo votarsi per non bruciarsi. Allora si aggrappa alle parole d’ordine della sua antagonista, le riecheggia, le parafrasa, le aggiusta, le adatta alle sue tesi (tesi? Va be’, non esageriamo, diciamo abbozzi di pensiero). Dispiace per il docente parigino, ma è altamente probabile che finisca per bruciarsi non meno e non meno dolorosamente del giorno fatidico della campanella, quando qualcuno proditoriamente lo sfrattò dal governo. Ci sono destini.
    Ma gli altri, ah! La presidente di Fratelli d’Italia e presidente del Consiglio in pectore, Giorgia Meloni, dopo aver attestato a chiare lettere la sua mammacristianitalianità, ora elargisce il suo viso- messo in mostra dopo acconci ritocchi- addolcito da un sorriso suadente, da un tenero sguardo occhiazzurrino e da un’aria affatto serena per dichiarare se stessa e il suo partito “Pronti a risollevare l’Italia”.
    Non scherza, Giorgia. In cima al suo programma, dopo il perentorio e inappellabile Vade retro migrante! (notoriamente i malefici untori che hanno affossato il migliore dei paesi possibili, e ben vengano i blocchi navali, cacchio!), figura una cura da cavallo contro devianze, pigrizie e accidie in genere che neppure il migliore dei cerusici avrebbe saputo mettere a punto.
    Corroboranti e istruttive sedute di esercizi ginnici a tutto spiano; magari da inquadrare in un bel sabato non-fascista (il fascismo, chi non lo sa?, le destre italiche lo hanno da tempo cassato dalla memoria, consegnato indefettibilmente alla storia; il resto è monelleria, simpatico folklore; d’altronde, chi può negare che il saluto romano o il grido “Presente”, strozzato dall’emozione del ricordo, sia un’innocua castroneria?). Insomma, un serio e assiduo impegno fisico che di certo ritemprerà corpi, menti e anime. E una nuova Italia spiccherà il volo dai colli fatali dell’Urbe, pardon, della capitale.
    Sembra scherzare, invece, il programmatore malignazzo che, nello sfilare di immagini sui giganteschi display che allietano la brulicante stazione Termini, a Roma, immediatamente dopo l’accattivante effigie dell’italamammacristiana, ha collocato la pubblicità di She-Hulk (denominata la sensazionale, nel fumetto originale), un’avvocata dotata di eccezionali poteri, uscita dalle file dei Fantastici quattro. Un’allusione beffarda alle capacità della cristianitalmamma? O, più subdolamente, un avvertimento per le grane giudiziarie in cui sono per mera sfortuna incappati alcuni esponenti del partito?
    Ma la palma della vittoria non si può non assegnare, onore al merito, a Matteo Salvini. Il gioviale, paffuto milanesone, in odore di incipiente obesità, non meno cristiano della mamma italiana, ha calato un poderoso atout, dopo mesi e mesi di vane esibizioni di rosari, santini, cilici e quant’altro compone il kit del santo potenziale.
    “Credo” proclama a gran voce, vale a dire a caratteri cubitali, il buon Matteo. Con l’ineffabile sorriso che si fa largo tra la risorgente peluria del viso. Affermazione cui segue un sommesso “negli italiani”.
    Un colpo da maestro! Un’arguta, sapida ripresa della formula di san Tommaso, il doctor angelicus della chiesa: Credo quia absurdum, che definiva il mistero inesplicabile della fede.
    Il vivace lombardo, novello san Paolo di Tarso, improvvisamente convertitosi sulla strada della Calabria (dove è strasicuro- gli deve essere giunto un responso favorevole dal cielo cui sempre rivolge gli occhioni ammiccanti-, di far messe di voti) al più convinto meridionalismo dopo decenni di “Prima il Nord” e contumelie di vario genere contro tutto ciò che respirava a sud di Firenze, ha però evitato di chiarire se, nel suo sistema filosofico-teologale l’absurdum sia credere negli italiani (comunque elevati ad articolo di fede), persino in quelli nati sotto la Linea gotica- che, si sa, sarebbero per natura scansafatiche e dediti all’ozio e al parassitismo- o se sia ai limiti del fantascientifico che gli italiani, e in particolare gli sciagurati figli di Terronia, possano credere in lui, insuperabile campione di giri di valzer.
    Un’esaltante gara di ingegni. Eppure non mancano, non mancano mai!, gli intellettualoidi che storcono il naso, dichiarano che le elezioni non servono a nulla, sono soltanto un giocattolo rotto. Ma in quale altra occasione avremmo potuto goderci questa contesa di menti brillanti, questa tenzone di spiriti eletti, pronti a spendere le migliori energie per il bene della loro patria? Da questo formidabile certame, lo si può dare per già avvenuto, l’Italia, oggi “nave sanza nocchiero in gran tempesta” per dirla col Sommo Poeta, ne uscirà del tutto risollevata. Con o senza la glaucopide Giorgia. 

  • TU SARAI GIORGIA MELONI
    MA DIO-PATRIA-FAMIGLIA
    NE HANNO FATTI DI DANNI...

    data: 06/08/2022 20:06

    Ora che è un passo dal diventare il primo presidente del Consiglio donna d’Italia, Giorgia Meloni, vulcanica presidente di Fratelli d’Italia, avverte il bisogno, sollecitata evidentemente anche dai suoi consiglieri (pardon, oggi è d’obbligo l’espressione spin doctor), di dotarsi, al di là delle vuote scaramucce da talk show, di un pensiero, di un orizzonte ideologico (dove ideologia non è termine che appartenga al turpiloquio, come molti credono oggi, ma indica, secondo le proprie origini, un sistema organico di idee) che ne completi e nobiliti il profilo di politica intraprendente e sagace (è un dato di fatto che, sotto la sua guida, FdI ha quintuplicato le preferenze, ed è ora il primo partito), per quanto imbarazzante in alcune sue uscite.
    Già esplicitato e argomentato con toni vibranti, nel libro “Io sono Giorgia…”, il pensiero viene riassunto, e affidato alla diffusione tra simpatizzanti e, perché no?, anche avversari, nella triade, non proprio particolarmente nuova, “dio, patria e famiglia” (sarà un caso, certo, ma l’aveva adottata anche il fascismo, a cui lei si dichiara con decisione estranea). E, in una recente intervista, chiarisce: “Non è uno slogan politico, ma il più bel manifesto d’amore che attraversa i secoli”.
    Opinabile, davvero opinabile. Sotto diversi profili, a partire da quello storico (le patrie, per dire, sono un’invenzione tossica abbastanza recente). E sul piano dell’amore, dello slancio irenico da cui la giovane condottiera della destra italiana vorrebbe mostrare di essere animata.
    Decisamente più rivoluzionario, persino molto, ma molto più moderno a confronto, appare il Cantico delle creature di san Francesco, un vero, incondizionato inno all’amore universale, scritto mille anni fa. Dove il santo si guarda bene dal menzionare la famiglia (non aveva avuto un buon rapporto con il padre, un ricco commerciante di Assisi), e la patria, un soggetto che all’epoca non esisteva neppure nella mente della sua divinità. E questo mostra che la Meloni, abile politicante, dovrebbe studiare un po' di più.
    Non è da escludere che lo slogan, o manifesto d’amore secondo la nuova vulgata, abbia successo; anzi, i consensi del suo partito sono in ascesa. Ma la polverosa triade lascia capire, dopo una veloce riflessione, che la Meloni non conosce, o preferisce ignorare, le statistiche; dalle quali vien fuori un quadro tutt’altro che edificante della famiglia, autentico focolaio di violenze di ogni genere un po’ in tutto il mondo, dagli abusi sui minori al femminicidio.
    Quanto alla patria, è fin troppo palese ormai che si tratta di uno specchietto per le allodole: un totem attorno a cui danzare tutti compatti, per poi spedire a farsi massacrare centinaia di migliaia di poveri cristi in difesa dei cospicui e solidi interessi di chi possiede le chiavi, e decide il destino, della cosiddetta patria. Basta rileggersi quello che accadeva in prima linea nella guerra, ormai santificata, del 1915-18, tra fantaccini inebetiti dal liquore e che raggiungevano il fronte soltanto sotto il pungolo di fucili spianati.
    E, a volerla dire tutta, anche l’onnipotente una mano sulla coscienza dovrebbe passarsela. Qualche tiro mancino, non di rado piuttosto pesantuccio – di sicuro per ottime quanto imperscrutabili ragioni -, nel corso dei secoli l’ha pur giocato al malcapitato genere umano. Come si vede, c’è davvero poco da rallegrarsi nel veder riesumare e tirare a lucido, come un gioiellino vintage, il diabolico terzetto. Se questo è il nuovo... 

  • NOI E IL CALCIO: COME SE
    FOSSIMO SOTTOPOSTI
    A UN'OVERDOSE DI DROGA

    data: 03/06/2022 18:04

    Amavo moltissimo il calcio. Quando i compagni di scuola, intorno agli otto nove anni, me lo fecero scoprire, passavo le domeniche pomeriggio attaccato alla radio per ascoltare la cronaca del secondo tempo di una partita; durante la quale il cronista ogni tanto interrompeva il racconto, sempre sobrio (solo Nicolò Carosio si permetteva qualche licenza poetica), e dava i risultati parziali degli altri incontri. Mi affascinavano termini per me esotici: estensi, felsinei, grifoni.
    Durante la prima adolescenza, leggevo religiosamente il Corriere dello sport. L’arrivo delle prime partite (un tempo soltanto) in tv fu un avvenimento magico. Ottavio Bugatti e Luis De Menezes Vinicio, rispettivamente portiere e centravanti del Napoli, erano i miei eroi omerici. Imbattibili, immortali.
    Bene. Da alcuni anni vado soggetto ad una progressiva ma irreversibile disaffezione. Perché mi sento come l’Alex dell’Arancia meccanica (lode ad Anthony Burgess e Stanley Kubrick), obbligato a guardare immagini di violenza, mentre ascolta la musica sublime del suo idolo, Ludwig van (Beethoven).
    Il calcio è troppo presente nelle nostre vite. Ubiquo, invadente, prevaricante. È come se fossimo sottoposti, o ci sottoponessimo, ad un’overdose di qualche droga. E delle due l’una: o ti assoggetti ad una cura da cavallo per uscirne; o sarai sempre più dipendente, fino a schiattare.
    Mi tocca scoprire ogni giorno novità, lo straripare del pallone al di fuori degli stadi, teso a colonizzare abitudini, vite, coscienze. La squadra dell’Italia è stata eliminata (deo gratias!) dai mondiali imbrattati di sangue del Qatar: ma l’italica furbizia ancora spera in un escamotage che la ripeschi (ahò, so’ soldi, che ve credete?).
    Pochi giorni fa una partita è stata presentata come finalissima, non si sa bene di che; e già viene annunciata, a distanza di poche ore, un’altra partita con non si sa bene che etichetta che dovrebbe nobilitarla.
    La cosiddetta passione sportiva è il carburante, debitamente sollecitato e indirizzato, che fa girare un gigantesco apparato pompasoldi, un vortice di miliardi che turbinano nell’aria. E che solo in minima parte finiscono nelle tasche dei calciatori; certo, i grandi divi della pedata, che sono sì e no l’uno per cento degli addetti ai lavori, sono dei nababbi che poco o nulla hanno da invidiare agli sceicchi.
    Ma il carrozzone trasporta migliaia e migliaia di presidenti (mai saputo di un presidente finito in bolletta), dirigenti, press agent, procuratori, giornalisti ben inseriti; trascina decine e decine di organismi nazionali, sovranazionali, internazionali, dove, inginocchiati davanti a Mammona, si tessono trame oscure e non di rado non proprio pulite.
    Non è tutto. Il calcio fa parte in maniera preponderante di una colossale galassia spettacolare, il cui intento fondamentale è quello, per dirlo più raffinatamente in francese, di “attraper les couillons” (a voi l’onere della traduzione) e tenerli incatenati al proprio destino di spettatori. In combutta con gli osceni programmi dove le soubrette intervengono per spiegare cosa si deve fare in Ucraina e i podologi, espertissimi di covid e pandemie, danno sulla voce agli scienziati, e dove finti alterchi, con prestabiliti dosaggi di turpiloquio di fronte a cui i conduttori fingono di scandalizzarsi, simulano maldestramente scambi di idee.
    Confesso. Ho sempre in mente di lanciare una raccolta di firme per un referendum che chieda l’abolizione del calcio. Ma non credo che supererebbe la decina di adesioni. E servirebbe solo a nutrire la pia illusione che quella che un tempo era una disciplina sportiva, con luci e ombre già allora s’intende (partite comprate e vendute e altro), si possa restituire ad una dimensione più umana, moderata e, absit iniuria verbis, ludica. 

  • NO, NON FU UN EPISODIO ISOLATO LA "MACELLERIA MESSICANA" DI GENOVA 2001

    data: 24/05/2022 20:32

    È bene non farsi illusioni. L’ignobile vicenda di Genova 2001, nel corso del G8, efferata, cruenta, animalesca, non è un episodio isolato, un ricordo tetro di un passato lontano che non può ritornare. Malgrado le condanne della Corte europea per i diritti dell’uomo, quello spirito è vivo e operante; aleggia sornione nelle stanze del potere, ogni tanto si affaccia ghignante con una zampata.
    Sì, la punizione si è abbattuta sui manovali della macelleria messicana; ma le menti che idearono e diedero il via all’operazione non hanno pagato pegno, e molte di loro si sono viste gratificare da fulgide carriere. I segnali sono numerosi, sempre inquietanti. Una presenza, per ora, su scala ridotta, una sorta di ballon d’essai nella prospettiva di un finale travolgente. Una Guernica dell’ordine pubblico.
    Una mamma, su facebook, racconta accorata e preoccupata dell’arrivo nell’abitazione di carabinieri (gentilissimi, per carità), con tanto di mandato di perquisizione per un’indagine avviata dall’Antiterrorismo nei confronti del figlio. Di quale delitto si sarebbe macchiato il ragazzo? Nel novembre scorso, durante una protesta studentesca contro la perniciosa alternanza scuola-lavoro, avrebbe imbrattato con un palloncino di vernice rossa la vetrina di una banca.
    Crimine gravissimo, come negarlo? Altro che le simpatiche monellerie di rubare soldi pubblici o far emigrare verso paradisi fiscali i proventi di tasse non pagate, cui si può guardare con occhio indulgente e magari corrivo. Ma i ragazzi, si sa, sono naturalmente portati a trascendere, sfidare i limiti, andare sopra le righe.
    Premessa: nel corso della stessa manifestazione, i manovali della forza istituzionalizzata avevano sapientemente e pesantemente mulinato le braccia con la loro naturale protesi, il manganello. Così, tanto per far intendere ragione a quelle teste un po’ dure.
    Altra manifestazione, altra perquisizione. Nel primo caso i carabinieri erano sei; in questa seconda manche, dovendo affrontare tre rei, sono diciotto (ci deve essere un algoritmo che stabilisce la proporzione di sei tutori dell’ordine per ogni indagato, a scanso sorprese).
    I reprobi sono attivisti di Friday for future. A marzo avrebbero protestato davanti alla sede di Gazprom, la potente multinazionale russa del gas, oscurando con un fumogeno le telecamere di sorveglianza e imbrattando la facciata con della vernice. Perquisizione, sequestro di cellulari e abiti.
    Particolare piccante, se così si può dire. Ad uno dei tre viene intimato di mettersi déshabillé e fare delle flessioni. Pratica che, forse dettata dall’inconscio, pare stia riscuotendo un non piccolo successo quando si fermano dei manifestanti. Certo, una versione molto edulcorata, disneyana, delle truculente, sadiche esibizioni ordite alla Diaz e alla Bolzaneto. Ma qualche preoccupazione, sul piano negletto dei diritti della persona, comunque la suscita.
    Nella trama complessa, complicata e delicata dei rapporti sociali, lo stato, è noto, detiene il monopolio legale della forza. Cui ricorre, dovrebbe ricorrere, nel rispetto dei principi che lo informano; nel nostro limitato spicchio di pianeta, nominalmente democratici. Almeno così raccontano.
    Senza andare a riesumare formule classiche, come “lo stato è il comitato d’affari della borghesia”, se allo stato viene delegato il compito di mantenere l’ordine in un sistema sociale strutturalmente e irreversibilmente iniquo, di cui è giocoforza espressione, non potrà che tenere a bada quanti a quell’iniquità si oppongono.
    Alati sermoncini, piccoli avvertimenti, sommesse intimidazioni, qualche flessione di tanto in tanto, testoline da ricucire qua e là. E, se proprio è il caso, la vorticosa danse macabre inscenata tra fragorosi applausi istituzionali a Genova. Luglio 2001. 

  • MA I NOSTRI GIORNALISTI
    SANNO CHE IL REATO
    DI ASSANGE E' AVER FATTO INFORMAZIONE?

    data: 14/05/2022 20:03

    Amnesty International continua a lanciare appelli (e così Reporter senza frontiere). E per martedì 17 ha indetto un’ultima manifestazione italiana, alle 17 davanti all’ambasciata della Gran Bretagna, a Roma, di fronte alla storica Porta Pia. Come già accaduto in Italia, paese dagli umori indecifrabili (ma anche facilmente manipolabili), rischia di essere una riunione per pochi intimi.
    Il giorno dopo, Priti Patel, ministro degli interni britannico con fama di spietata, figlia di immigrati che non sopporta gli immigrati, potrà dare il via libera all’estradizione di Julian Assange per gli Stati Uniti. Che lì dovrebbe scontare una pena di 175 anni per varie imputazioni, tra cui cospirazione e spionaggio.
    Negli Usa l’apparato militar-industriale ha assunto carattere sacro, è intoccabile; impossibile oggi fare un film in cui sia presente l’esercito senza l’autorizzazione e la capillare supervisione dei comandi militari. Assange ha messo a nudo alcuni poco edificanti altarini; da qui una sorta di condanna a morte soft.
    Dato lo stato dei rapporti tra Regno Unito e Stati Uniti, è inverosimile che la pragmatica e tutt’altro che tenera ministra rovesci il verdetto della Corte dei magistrati di Westminster. Estradizione sia.
    Difficile capire perché la sorte di Assange, da oltre dieci anni costretto prima a vivere confinato in un’ambasciata, poi incarcerato, e ormai ridotto una larva umana, susciti tanta poca emozione e così scarso interesse. Difficile, soprattutto, capire come mai il narcisistico mondo dell’informazione non sia insorto come un sol uomo per fronteggiare una vicenda che sgancia un’ulteriore minaccia alla tanto decantata libertà di stampa e all’indipendenza dei suoi operatori.
    Eppure l’epoca sarebbe propizia a fare del giornalista australiano un martire. La macchina mitopoietica funziona ventiquattro ore su ventiquattro. Certo, sono semplici giornalisti, travet dell’informazione, non più il divo Omero, a creare i miti; e i giornalisti, si sa, hanno i loro limiti e condizionamenti, spesso molto robusti. Ma non ci mettono nulla a creare, con la giusta imbeccata, l’Eroe. E a rilanciare impettiti, all’occasione, paroloni altisonanti: Libertà, Autodeterminazione, Democrazia. Magari persino, se sono sotto l’occhio magico delle telecamere, ad assumere linguaggio e pose guerresche; in nome, s’intende, dei più sacri princìpi di cui si atteggiano a intemerati paladini.
    Strano. Perché la vicenda di Assange dovrebbe costituire un monito inquietante. Cos’ha fatto il capo di Wikileaks? Ha divulgato una serie di documenti - fornitigli da Chelsea Manning, ex militare con il compito di analista di intelligence - che rivelano inoppugnabilmente le atrocità commesse dagli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq.
    In altre parole, ha fatto informazione. Quello, appunto, che dovrebbe essere il compito precipuo del sistema dei media e dei suoi attori: invece di inscenare spettacolini da cabaret o impancarsi nei loro diligenti e giudiziosi compitini a imperturbabili mistagoghi, fornire all’opinione pubblica elementi di fatto su cui ragionare e con cui valutare l’operato e i meccanismi delle istituzioni che regolano la vita degli stati.
    Non sarà forse un cavaliere senza macchia e senza paura, lo sparuto Julian Assange. C’è chi lo accusa di ambiguità. Un articolo del magazine del New York Times (riportato da Internazionale del marzo 2011) ne riconosce le “enormi competenze tecnologiche” e lo descrive “arrogante, permaloso, paranoico e stranamente ingenuo”, al punto che un giornalista tedesco lo definisce una “sorta di Peter Pan”.
    Ma, al di là della terribile vicenda personale dell’ex capo di Wikileaks, il sistema dei media, dagli Stati Uniti (che guadagnarono l’ammirazione del mondo con il caso Watergate, che portò nel 1972 addirittura alle dimissioni del presidente Richard Nixon) all’Europa e all’Italia, la cui flebile vocina è quasi impercettibile, dovrebbe chiedersi per chi suona la campana. Oggi ha rintocchi funebri solo per Julien Assange. Oggi. 

  • "ARMIAMOCI E PARTITE"
    GRIDO' L'INTERVENTISTA
    DAL SALOTTO DI CASA

    data: 06/05/2022 20:12

    Miseria dell’interventismo (citazione-parafrasi da Karl Marx e Karl Popper, a voi la scelta). Miseria, intendiamoci, fino a un certo punto; da porre, al giorno d’oggi, sul piano dei principi morali più che su quello di una squallida materialità.
    Il povero Benito Mussolini- ma sì, un po’ di compassione per quest’uomo che, a detta dei suoi zelatori, avrebbe fatto anche cose buone: tipo, omicidi politici a parte, mandare a morire alcune centinaia di migliaia di italiani, nella gaglioffa e stoltamente furbesca convinzione che così avrebbe poggiato il capace deretano su una sedia davanti al tavolo dei vincitori. Mussolini, insomma, tutt’altro che insensibile all’olezzo del denaro, si trasformò, allo scoppio del primo conflitto mondiale, dalla notte al giorno da direttore neutralista dell’Avanti in interventista, dopo una generosa pioggia di contanti (franchi francesi, ma qualche storico non esclude anche le sterline inglesi) nelle tasche. Il che gli permise di fondare un suo quotidiano, Il Popolo d’Italia, da cui sostenne vigorosamente le ragioni della guerra.
    Mussolini, la cui ars oratoria giornalistica era prezzolata ma notevole, era un corifeo. Dirigeva lui il coro; una volta ricevuto il là, stabiliva lui il motivo da intonare, che, ahinoi, venne giulivamente ripreso e intonato da gran parte degli italiani. Inutile ricordare dove quelle note ci abbiano portati. Lo paghiamo ancora oggi.
    Ogni epoca ha i suoi cantori. Finito a gambe all’aria il corifeo che tutto il mondo ci invidiò (questa la vulgata allora) la nostra è l’epoca dei coreuti. Costoro, in apparenza, non hanno banche, organizzazioni di imprenditori o stati stranieri che li imbecchino. Sono professionisti, autonomi, in astratto padroni assoluti dei loro cervelli e delle arie che diffondono. In pubblico si danno, come la rana aspirante bove di Fedro, grandi arie di menti indipendenti, di strenui paladini della Libertà, che sfornano pensieri elaborati dalle loro teste. Ma recitano versi scritti o dettati da altri. I grandi proprietari del sistema di comunicazione. I timonieri dell’establishement. Davanti ai quali, è facile raffigurarseli docili e devoti come chihuahua, quei simpatici sgorbi da salotto.
    Così, come un sol uomo, i Grandi Commentatori dei cosiddetti Grandi Giornali d’opinione e delle Potenti Reti Televisive, hanno sposato le ragioni della guerra. Loro, che non imbraccerebbero neppure al Luna Park un ciufile (per dirla con l’indimenticabile Zampanò de La strada di Fellini: sic semper armis) a pallini, consci della volontà, anche se inespressa, dei loro datori di lavoro e ideologi di riferimento, hanno cominciato a salmodiare un componimento a rime obbligate: “Armiamoci… e partite”.
    Futuristi abbondantemente post-litteram, hanno rubacchiato a Filippo Tommaso Marinetti il concetto-slogan “la guerra sola igiene del mondo”, o almeno dell’Europa sub specie Usa. E lo sparacchiano con indefessa audacia giorno dopo giorno da ogni postazione possibile: le colonne dei loro giornali o gli infiniti ed inani dibattiti televisivi, ghiotta occasione per arrotondare l’esigua paga del soldato (solo in pectore). Non disdegnando valorose azioni di guerriglia sui social.
    Come non c’è realista che non voglia mostrarsi più realista dello stesso re, non c’è coreuta che non aspiri ad essere più corifeo del suo corifeo. Quindi, scodinzolando festanti, per offrire un’indubbia prova di dedizione, alcuni dei Grandi Commentatori hanno stilato vere e proprie liste di proscrizione. In cui hanno rabbiosamente infilato tutti quelli che si sono permessi- ah, i nemici della Patria e del Progresso, oltre che del Vero!- di avanzare obiezioni e critiche all’indirizzo della guerra e della chiamata alle armi. Forse per evitare noie diplomatiche, o per il sacro terrore di finire all’inferno tra le braccia di Satana, non hanno ancora inserito papa Francesco, che si batte al limite delle forze per la Pace. Ma tra un po’, chissà…
    Quindi, fieri del loro operato, deposto per qualche ora il bellicismo, sono andati a rilassare le stanche membra nelle comode seconde case di Capalbio, delle ridenti colline toscane, di Capri. I più scalcagnati in qualche isoletta di minor nome, magari dopo un passaggio per i paradisi fiscali che qualcuno di loro conosce e frequenta: in Italia evadere (il fisco) è tanto à la page; nessuno oserà mai disturbarti per questo, anzi. Ma il monito è stato chiaro e inesorabile: a tempo debito, gentaglia, faremo i conti. Perché questi Arditi non lo ammetteranno mai, ma, come amano il crepitio dei ciufili e il rombo dei cannoni, pregustano, ma solo per squisite ragioni morali, la rappresaglia. Come, nei bei tempi andati, le camicie nere e il loro caporione.
     

  • TV, CALLIDI NOCCHIERI
    E INDIGNATl A PAGAMENTO

    data: 29/04/2022 20:15

    Mentre indugiamo a tessere i nostri roventi certami dialettici, la guerra, ancora lontana (ma per quanto?) dall’aver raggiunto la catastrofica acme nucleare, ha già prodotto un disastro, forse irreversibile. L’isterilimento della materia grigia, l’appiattimento della facoltà raziocinante su una molto più semplice, e forse per tanti confortante, polarizzazione, sul trionfo di una elementare logica binaria: A o B, bianco o nero; tertium non datur.
    Si è persa, o è stata volontariamente abbandonata, la capacità di indagare, di analizzare quei concetti che si oppongono alle nostre convinzioni; di valutare le sfumature di una proposizione, per coglierne quello che ci può essere di fecondo, di positivo, per quanto in contrasto con la nostra opinione.
    Di conseguenza, la commedia dell’arte, vanto della tradizione teatrale italiana, si trova oggi arricchita di una nuova maschera: l’Indignato. Molto spesso profumatamente pagato, quando si esibisce in quei vivaci consessi che in questi giorni pullulano su tutti i canali televisivi, debitamente pilotati da callidi nocchieri, per dare un vigoroso saggio della sua maestria.
    E, soprattutto, della sua superiorità morale. Perché l’Indignato non snocciola pareri per il gusto di metterli a confronto con quelli degli interlocutori. Non è un animale da salotto intellettuale. No. Lui ha una missione: Lui è animato dal sacro fuoco della Verità. Che ai suoi occhi, alla sua mente scevra da pregiudizi, appare nitida e risplendente come una dea dell’Olimpo. Come Minerva catafratta di schinieri e usberghi.
    Il copione è bello che collaudato. L’indignato freme, si fa paonazzo, non resiste alla tentazione di dare sulla voce all’avversario- al nemico, anzi-, su cui non si scaglia per torcergli il collo perché lui è un rappresentante altamente civilizzato della specie umana. Ma quando è troppo è troppo, e il cialtrone che gli sta di fronte va rimesso al suo posto con apostrofi infuocate e parole acconce.
    Ci sarebbe da ridere… Non fosse che la guerra, quella autentica, che semina morti, lutti, stupri e altre atrocità, distruzioni (che fanno la felicità soltanto dei fabbricanti d’armi e di quanti piomberanno come avvoltoi sulle rovine per rimetterle in sesto), incendia tutto il globo. Dall’Ucraina allo Yemen, dalla Palestina alla Siria e chi più ne ha più ne metta, ovviamente selezionate e mediaticamente proposte con cura in base ad un’ipotetica classifica di Indignabilità. Gli anchormen/women e i papaveri del sistema mediatico vengono pagati proprio per questo.
    Davvero viviamo (vivemmo, abbiamo vissuto, vivremo, e infine saremo vissuti, senza suscitare grandi rimpianti nell’universo) in tempi bui, diceva quel tale. Ma senza troppo indignarci.
    Si replica. 

  • E SUBITO SCATTA
    L'IRRIDENTE APPELLATIVO
    PER I NE'-NE'

    data: 14/03/2022 23:59

    Siamo al can-can, alle Folies Bergère, mentre lo spettro nucleare sogghigna e si frega le mani. Se non ti acconci a recitare il componimento a tema e rime obbligate, ecco che scatta la condanna, la lettera scarlatta che segnala l’infamia. O, alla meno peggio, lo scherno.
    Così il fisico Carlo Rovelli, una delle menti più acute e degli studiosi più seri di questo sconquassato paese post-berlusconiano, si becca l’irridente appellativo “Né-né”, ridotto ad attrazione da café-chantant, a soubrette svaporata le cui parole possono suscitare solo riso e compatimento. Per essersi permesso di lanciare un appello che proclama la necessità di agire per la pace.
    Anzi, per la Pace. Quella che infervora le allocuzioni di un tal Francesco biancovestito, non ancora bersagliato dalle severe rampogne del sistema mediatico, forse per il timore che i poteri del suo Stato vadano ben al di là dell’umano.
    Le insegne del “Né-né” se le è guadagnate anche Luciano Canfora, storico e filologo di rango. Trattato da babbione trinariciuto, evidentemente nostalgico dell’epica bolscevica (quei bolscevichi, ci informano per nostra fortuna i documentatissimi giornalisti dei tg, contro cui, nel 1905, si ribellò Odessa).
    L’adozione della doppia congiunzione negativa è meno neutra, meno oggettiva di quel che appare. Dissimula malignità. Colloca i destinatari dell’apparentemente frivolo “Né-né”, quasi uno scappellotto benevolo a un amico un po’ rintronato, tra gli ignavi, esseri incapaci di orientarsi tra Bene e Male, a tal punto indegni di considerazione che padre Dante non li fa entrare neppure nell’inferno, li tiene in eterno a bagnomaria, li fa vagare senza sosta mentre le loro tristi nudità vengono punzecchiate da vespe e mosconi. Palesa “né-né”, inoltre, una fondamentale iattanza. La iattanza di chi sa di avere ragione perché sa di avere ragione.
    C’è aria da liste di proscrizione. Il professor Alessandro Orsini, docente del dipartimento di sociologia della Luiss, fondatore e direttore dell’Osservatorio di sicurezza internazionale, riconoscimenti internazionali a iosa, ha partecipato a un dibattito televisivo, sapientemente accalorato, in cui, dopo aver precisato che condanna l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, si è avventurato a spiegare gli errori dell’Unione europea. Risultato: sospeso dall’ateneo, che lo ha richiamato ad attenersi al “rigore scientifico” e non a “pareri di carattere personale” (che suona come invito a non pensare con la propria testa). Sospesa anche la rubrica di cui è titolare su un quotidiano di tendenza ultramoderata.
    Strano. Perché certi allarmi, certi distinguo, qualche riserva sulle ultime stagioni della Nato li hanno avanzati persino alcuni generali italiani che la Nato conoscono bene, che diffondono analisi lucide e documentate e che di sicuro non possono essere accusati di tifare per la Russia dell’autocrate Putin. Ma l’esercito dei commentatori, al riparo dietro lo scudo di quelli che si autoproclamano i maggiori organi di informazione, ben trincerati dietro le loro scrivanie, impugnata la penna o la tastiera come la Colt Magnum dell’ispettore Callaghan, ha eroicamente lanciato l’allalì ad un paese non (ancora) belligerante, ma di questi tempi tanto, tanto bellicoso.

  • MA QUANTE ABIURE
    DI CONTRITI PENITENTI
    DEL COMUNISMO...

    data: 28/02/2022 18:49

    Intorno alla tragedia immane di questi giorni, che imporrebbe un rispettoso silenzio, fioriscono tante tragediole personali, dal tono piuttosto di vaudeville. Appassionate abiure, roventi sconfessioni di sé stessi e del proprio passato e, per contro, infuocati anatemi. Autodafé da nessuno richiesti, che viaggiano chiassosi sui social.
    “Mi vergogno di essere stato comunista”, grida qualcuno con voce strozzata su facebook, cui un altro fa eco con un sommesso “purtroppo sono stato comunista”. Mentre un terzo, forse per assaporare il gusto della vendetta a distanza di decenni, difende il tizio tacciato di comunismo così: “Era troppo intelligente per essere comunista”.
    Confesso: in un passato ormai lontano sono stato un comunista molto tiepido, all’acqua di rose. Non mi ha mai convinto la prospettiva storica delineata, che sarebbe dovuta sfociare nella rivoluzione proletaria. E che, sull’altro versante e con altro segno, avrebbe prodotto in tempi abbastanza recenti l’improponibile “fine della storia” gabellata da Francis Fukuyama. Ma non vedo, in questo, nessuna ragione di vergogna o di autoflagellanti resipiscenze. Ho seguito questo percorso, amen.
    Ho conosciuto e frequentato fin dall’infanzia tanti, tantissimi comunisti (autentici); spesso persone di grande intelligenza, profonda cultura, notevoli capacità di elaborazione critica e molti, da ultimo ma non ultimo, animati da toccante umanità. Ma il comunismo italiano non ha bisogno di avvocati difensori scalcinati come il sottoscritto.
    Cosa mettono in scena, piuttosto, queste teatrali palinodie? I “j’accuse” lanciati a distanza temporale di sicurezza? Temo, e credo, che tutto si risolva nel desiderio di sventolare la bandiera della “verità” del momento, che è peraltro una palese contraddizione in termini. Squadernare sotto gli occhi del mondo l’adesione convinta alla fede che va per la maggiore, la più gettonata. Calpestando e umiliando il concetto stesso di fede (lo dico da persona estranea ad ogni credo, religioso e non), che è una bussola per tentare di orientarsi nel nulla cui apparteniamo e in cui brancoliamo.
    Ed è fin troppo facile preconizzare che queste schiere di contriti penitenti si precipiteranno, come i dannati danteschi sulle rive dell’Acheronte alla vista di Caròn dimonio, ad abbracciare la prossima “verità” e rinnegare l’attuale non appena cambierà il vento. 

  • DARE DA MANGIARE AGLI AFFAMATI, MA NON NEL CUORE DEL CRISTIANESIMO

    data: 05/02/2022 18:52

    La stazione Termini, la monumentale e un tempo anche bella stazione Termini di Roma, fin quando non si è trasformata in un suq di lusso, è oggi l’epitome perfetta dell’anima, dell’etica e della morale dell’Europa. È stato proibito di dar da mangiare ai senza tetto, che nei vasti spazi della stazione ferroviaria trovano un rifugio. I volontari che hanno provato a portare comunque un po’ di cibo, sono stati allontanati senza troppi riguardi dai vigilantes e addirittura dai militari.
    A Roma, nel cuore del mondo cristiano, in un’Europa che si fregia come di una medaglia al valore delle sue radici cristiane. Strano modo di intendere il cristianesimo. Che da sempre esorta a dar da mangiare agli affamati e bere agli assetati. Opere di misericordia che dovrebbero essere impresse nella mente e nel cuore di chi professa la fede.
    Non è chiaro chi abbia emanato l’editto. Il prefetto di Roma non sa nulla. Il ministero della Difesa si proclama del tutto estraneo. Noi vorremmo swiftianamente suggerire ai nostri valorosi e cristianissimi governanti di reintrodurre la pena di morte per il reato di digiuno involontario. Con tanto di esecuzione sulla pubblica piazza per dare l’esempio, come ai bei tempi del Papa re. Piazza del Popolo a Roma vanta una solida tradizione in materia, e in più offre una scenografia incomparabile. Si potrebbero organizzare delle succulente dirette tv, con ospiti e remunerativi spot pubblicitari.
    Sarebbe senz’altro più misericordioso che condannare gli affamati a una lenta e penosa agonia. Ed eviterebbe ai malcapitati che vogliono comprarsi in santa pace borse griffate, gioielli abbaglianti e altre meraviglie del Bengodi consumista, il fastidio di veder sciamare quell’esercito cencioso, magari, dio non voglia!, a pochi centimetri da loro.
    La cristianissima Europa si fa implacabile con i deboli. Respinge i migranti tra le braccia degli aguzzini. Dichiara guerra senza quartiere non alla miseria ma ai miseri. Sollecita a prostrarsi davanti al potere finanziario ed eseguirne i diktat. Disunita su mille questioni, è unitissima nel conservare e perpetuare il proprio inestirpabile credo bottegaio.
    La religione con i suoi lodevoli precetti? Un bell’orpello, un attrezzo da tirar fuori dalla naftalina quando serve esibire la maschera dell’umanità. Altrimenti basta un segno della croce ogni tanto, farsi vedere di quando in quando dal parroco di riferimento, e magari, per blindare la sicurezza dell’anima, mandare i rampolli choosy nelle costosissime scuole dei preti. In Paradiso, tutta gente che conosce e apprezza i valori autentici, terranno di certo conto e il conto di quanto si è dato alla religione.

  • LA PIZZA STREET PRODUCT?
    BASTA, ROBA VECCHIA
    SARA' QUOTATA IN BORSA...

    data: 20/12/2021 17:05

    La pizza a peso d’oro. Tra cristalli scintillanti, marmi eburnei, abbigliamenti sontuosi, camerieri carichi di alamari, menu sinuosamente vergati su pergamene, atmosfere signorilmente ovattate; con un lessico appropriato, of course. E, perché no (nostro gratuito suggerimento)?, pizzerie quotate in Borsa: da Michele insediatosi a New York guadagna cinque punti, Brandi è stabile, Gennaro ‘o malommo perde un punto e mezzo...
    Un’idea geniale. Da mago della finanza, quale da decenni Flavio Briatore (sua l’idea) si è sempre dimostrato. Da uomo dagli ampi orizzonti, capace non solo di intuire, ma di inventare il futuro, plasmandolo secondo gli ideali per cui si è sempre battuto da par suo e che lo hanno portato ad affermarsi nel mondo.
    Calma. A Napoli esiste un’espressione molto forte, icastica, che dipinge in maniera perfetta una particolare situazione: pezzent’ sagliuto. Nulla di razzistico, bensì l’acuta individuazione di un fenomeno sociale, e del conseguente atteggiamento psicologico: quello di chi, per meriti indubbi o recondite capacità, balza sulla scala sociale dagli ultimi ai primissimi gradini.
    L’animale uomo, favorito dalla provvidenza, o dalla destrezza nell’accaparrarsene i favori, sente allora il bisogno di chiudersi nella corazza del lusso. Che lo aiuta a dimenticare i morsi della fame, le suole logore, gli abiti consunti; o, senza eccessive drammatizzazioni, gli equilibrismi per arrivare a fine mese. Benestante, officia per istinto un rituale apotropaico con l’ostentazione delle ricchezze: via inopia, vade retro inedia; io ho, ho, ho, ho, ho...
    Senza nulla togliere al genio di Briatore, sta qui il nocciolo: il terrore inconscio di ritrovarsi di colpo a fare i conti con la miseria. Trovata che germina su un terreno propizio. Non c’è dubbio che, come si può leggere nel fondamentale Dominio di Marco D’Eramo, ad oggi la lotta di classe l’ha stravinta il capitale in panni neoliberisti.
    Con il mondo ogni giorno di più diviso tra la stragrande maggioranza che fatica ad andare avanti e un esiguo gruppo di ricchi e ricchissimi. Che possono venerare soddisfatti i loro numi tutelari: da Margaret Thatcher a Ronald Reagan, all’istrionico Donald Trump, con il corteo di ossequiosi vassalli del vecchio continente. Intonando garruli e scanzonati: “Ciao povery”.
    La pratica scaramantica necessita di un linguaggio all’altezza del nuovo stato, innovato nei lemmi e nelle cadenze. Un cibo umile da street product sale al rango di main course; lo squallido “ambiente” fa posto al vaporoso environnement; il cattivo gusto di un piatto a basso costo si riscatta nell’impalpabile cheap.
    È giusto riconoscerlo: ‘o pezzent’ sagliuto, adorabile briccone, cuore e portafoglio alle Cayman e in altri paradisi, intrappolato in queste dure incombenze (sorry: a so hard work), non riceve cheap, ma paga a caro prezzo, dearly, la sua supremazia, ops!, pardon, his supremacy. Noblesse oblige; lo diceva anche Totò: la nobiltà è un obbligo. 

  • SI CONCEDA INFINE
    L'ONORE DEL SETTENNATO
    A COTANTA PERSONALITA'

    data: 16/12/2021 13:24

    Confesso, non mi capacito. Anzi, no, proprio non capisco tanta meraviglia e tanta indignazione. Parliamo della designazione dell’ex cavaliere Silvio Berlusconi alla più alta carica dello Stato. Presidente della Repubblica. Ora che ha ricevuto lo stigma del patriota dalla Giorgia nazionale, donna, italiana, cristiana, e, ça va de soi, anche lei patriota, il cursus honorum del signore di Arcore si presenta completo. E inappuntabile.
    Davvero costituirebbe uno scandalo l’ingresso al Quirinale di un uomo che è sceso in campo, con l’intento dichiarato di salvare la patria, ventisette anni fa? E che evidentemente, da patriota verace, sognava e organizzava quest’evento da molto prima: le fortune politiche, come Roma, non si costruiscono in un giorno, e solo con le proprie mani. Un uomo che è stato quattro volte presidente del Consiglio dei ministri, fino alla spettacolare defenestrazione del 16 novembre 2011. Che ha resistito indomito e beffardo, affiancato soltanto da una pugnace pattuglia di legulei, allo scomposto assalto della magistratura: un diluvio di rinvii a giudizio nell’implacabile foia di associarlo alle patrie galere. Che ha ravvivato le sorde e grigie assise internazionali con la sua innegabile verve da chansonnier, con il suo collaudato senso dell’umorismo.
    Ha una macchia, si obietterà. Cioè? Quella condanna passata in giudicato, che vuol dire definitiva, inappellabile, per frode fiscale. Ma via! Una macchia? Un neo, al più. Forse in qualche remoto e bislacco pianeta - l’universo è immenso - qualcuno considererà le frodi finanziarie alla stregua di un furto, palesando così un inguaribile provincialismo. Ma in Italia - e in tutto il mondo civile, beninteso - le acrobazie finanziarie, gli escamotage per non dare a Cesare quel che sarebbe di Cesare, sono la prova provata di un ingegno brillante, spregiudicato, il marchio di classe di un uomo di mondo.
    E allora? Si aprano le porte dell’antica dimora dei papi, e per meno di un secolo delle teste coronate di casa Savoia. Si impettiscano gli svettanti corazzieri nel loro impeccabile saluto. Si conceda l’onore e l’onere del settennato a cotanta personalità. Vorrà dire che l’Italia vivrà, Berlusconi duce (non si fraintenda, è un ablativo assoluto; in italiano suona semplicemente: sotto la guida di Berlusconi), un nuovo ciclo storico, avviato nel lontano 1994: un Trentennio che nulla avrà da invidiare a quel Ventennio che molti italiani, patrioti insigni, rimpiangono, e magari cercano generosamente di rinverdire. Dunque, è il caso di proclamarlo alto e forte: chi ha paura di Silvio Berlusconi? 

  • PASSEGGERI COME
    GREGGI TRANSUMANTI
    DEL NEO-LIBERISMO

    data: 16/11/2021 15:58

    Atterro a Fiumicino. Mio desiderio impellente, riappropriarmi delle valigie, e poi di corsa a casa. Pia illusione. La struttura aeroportuale srotola un percorso obbligato, in cui confluisce in un gran marasma chi arriva e chi parte, che ti trascina naturalmente in un paese disneyano dei sogni. Un’orgia di luci, colori, suoni. Il demone del neoliberismo ha insufflato una vita artificiale in uno dei classici non-luoghi celebrati da Marc Augé, e lo ha magicamente trasformato in un fantasmagorico emporio, in un teatro dove si muovono masse accuratamente addestrate, e debitamente sollecitate, che possono trovare di tutto: vestiti scolpiti dai maestri delle forbici, gioielli sbrilluccicanti, preservativi griffati, liquori di marca di ogni provenienza, carta igienica con lo stemma della squadra del cuore, tutto il bengodi tecnologico, balocchi mirabolanti per marmocchi che devono assolutamente iniziare il loro tirocinio consumistico.

    Fiumicino non è un’eccezione; è il destino comune, e ineluttabile (sic stantibus rebus), di questi hub internazionali, dove i passeggeri, se non optano per la business e altri posti a carattere esclusivo, sono sempre più negletti e trattati come greggi transumanti. Uguale violenza ha subito la un tempo bellissima stazione Termini di Roma, i cui vasti spazi sono stati trasformati in un suq con pretese di lusso, in realtà molesto e tanto, tanto pacchiano. La parola d’ordine è: comprare. L’homo sapiens - ma dde che?, chioserebbe sapido, se ancora esistesse, il romanaccio de Roma di Gioacchino Belli - si è evoluto in un robot programmato per acquistare. Nell’Occidente di tutte le nefandezze (nuova versione del conradiano “l’orrore, l’orrore”) l’uomo è definitivamente e irreversibilmente sussunto alla Merce. Nell’alto dei cieli, dove è venerato come santo patrono della Rivoluzione, Karl Marx si starà strappando disperato i peli della folta barba. Mentre un piccolo pugno di rispettabilissimi lestofanti ammassa senza sosta patrimoni e ricchezze - anche la pandemia si è trasformata per loro in succulenta occasione di arricchimento - tanto di una sacrosanta rivoluzione non c’è neppure l’ombra e loro, ben protetti dalle pompose e ipocrite istituzioni internazionali, possono placidamente continuare ad accumulare, e proclamare a ragione, con la sicumera di un Luigi XIV: “Il mondo c’est moi!”
     

  • LA MORTE DEL DUBBIO
    CALAMITA' NON INFERIORE
    AI CAMBIAMENTI CLIMATICI

    data: 15/10/2021 19:01

    Deve essere così. I cosiddetti social sono dotati di magiche virtù, che generosamente diffondono urbi et orbi. Ognuno di noi, per il semplice fatto di buttar giù in quattro o cinque secondi quattro o cinque righe su qualsivoglia argomento, dalla proliferazione di armi che possono porre fine all’antropocene alle insidie di una natura presa sconsideratamente (e per i beati pauci lucrosamente) a ceffoni, con un occhio avido anche al più recente gossip, acquisisce ipso facto la certezza incrollabile del proprio dire. Lo stile di quelle note è asseverativo, il tono è ultimativo: questo è, ragazzi miei, non vedo come si possa pensare il contrario; e chi non è con me, peste lo cólga (con il sapido contorno di uno scherno il più possibile ingiurioso).

    Sparisce così, viene di fatto cancellato dall’orizzonte umano il dubbio, che spesso frena provvidamente le nostre esternazioni, ci costringe a riflettere prima di esprimere un giudizio, ci rende scettici sulla possibilità di raggiungere quella certezza che con eccessiva disinvoltura viene etichettata come verità. Il dubbio ha messo in crisi la prevaricante metafisica e aperto le porte all’irruzione benefica della scienza moderna che, al di là delle apparenze, nel dubbio ha il suo fulcro e il suo motore di sviluppo. Galileo, che per poco non ci rimise le penne, dubitò, e non poco, del sistema tolemaico e, di conseguenza, della monolitica certezza della weltanschauung scolastica, che aveva elevato il pensiero di Aristotele, rivisitato da san Tommaso, a bibbia.

    La morte del dubbio rappresenterebbe una calamità non inferiore agli sconvolgimenti climatici, cui continuiamo ad assistere quasi inerti. Rischia di rendere ognuno di noi depositario di granitiche “verità”, di azzerare, nel ribollire di milioni di aforismi supponenti, un’effettiva e vitale dialettica sociale e di condurre all’affermarsi di un universo di monadi, prive, come si sa, di porte e finestre. Senza trascurare l’eventualità che qualche monade, per conferire plastica evidenza alla robustezza del proprio argomentare, non decida di passare a vie di fatto. 

  • ASSEDIATI DAI SABOTATORI DELLA QUIETE DOMESTICA? E' IL MAGICO MONDO DEI CALL CENTER, BELLEZZA

    data: 03/05/2021 21:33

    È un assedio. Tambureggiante. Implacabile. Roba da Fort Alamo. Con tanto di Deguello, la musica che annuncia lotta senza quartiere (Deguello è spagnolo, presente indicativo, prima persona singolare: ti sgozzo). Batterie disseminate dalla Sicilia alle Alpi, fino a raggiungere la perfida Albione. Un fuoco di fila crepitante, subdolo, che ti colpisce quando meno te l’aspetti. Via cellulare. Rispondi alla chiamata, e ti fanno secco con una gragnuola di parole.
    Una delle ultime bordate mi è arrivata da Huddersfield, Regno Unito appunto. Ne ignoravo l’esistenza. Deve essere un posto interessante. Fondata dai Sassoni, insegna Wikipedia, nel West Yorkshire, sede di mercato fin dall’antichità, ha dato i natali ad Harold Wilson. Non lontana da Manchester, ha contribuito alla rivoluzione industriale con i suoi telai. E qui - udite udite! -  l’8 luglio del 1929 venne rappresentato per la prima volta il dramma Lazzaro di Luigi Pirandello.
    Il cellulare squilla, rispondi. Non puoi avere a mente tutti i numeri di parenti amici conoscenti ed evitare quelli molesti. Magari hai un congiunto in ospedale e attendi ansioso notizie. O aspetti che la banca ti annunci che desidera rimpinzarti di contante. O hai lanciato un’Opa sul vecchio frigorifero e non vedi l’ora che un’asta succulenta prenda il via.
    Macché. Dall’altra parte ti bombardano con l’invito-intimazione a non lasciarti sfuggire quei surgelati che neanche il padreterno. Ad afferrare al volo quelle tariffe per le tue connessioni che dureranno, cascasse il mondo!, inalterate fino al termine della tua esistenza. A riconoscere che la tua vita diventerà un paradiso con quel meraviglioso robot in grado di sbrigare tutte le faccende domestiche. In soldoni: ad aderire entusiasticamente alla proposta. Talora sono raffiche gentili, discorsetti suadenti, garbati, rispettosi. Alle volte si fanno aggressivi, perentori, al limite della minaccia.
    È il fantastico mondo dei call center, disseminati come funghi. Tutti magicamente in possesso del tuo numero di telefono. Così che ti viene da malignare che i vari fornitori di servizi, in barba ad ogni regola sulla privacy, dispongano di un gentlemen’s agreement per cui cortesemente se li passano dall’uno all’altro. Se mantengono questa fitta rete di sabotatori della quiete privata, sottopagati e supersfruttati, è evidente che comunque, anche di fronte a un 80-90% di rifiuti, ci guadagnano.
    C’era una volta il registro delle opposizioni, nato per fare da barriera alle chiamate indesiderate. Un magnifico colabrodo; ti iscrivevi, e potevi star sicuro di essere perseguitato da mane a sera. Ora ti viene offerta l’opzione “blocca”. Tu blocchi il numero indisponente, ma i call center sono talmente tanti che è come ripararsi da un diluvio con una pagina di giornale. E ogni giorno continua ad avere la sua pena telefonica. Sganciata magari da Pontefract, sempre Regno Unito, o da Paderno Dugnano.
    Allora, signori garanti della privacy e quant’altro, che dormite il sonno dei giusti, come la mettiamo? Alziamo bandiera bianca? O tentiamo di rintuzzare l’offensiva? Non fosse che per salvaguardare almeno il buon nome di Pirandello. E non accettare supini che diventi il nume tutelare delle truppe d’assalto del marketing. 

  • CI VOLEVA PASOLINI
    PER ATTUALIZZARE DANTE,
    NON CHI LO CELEBRA
    PER AUTOCELEBRARSI

    data: 22/04/2021 16:00

    Un’orda di dantisti dell’ultima ora, a caccia di strapuntini in talk-show e pronti a sgraffignare diritti d’autore per libri da affidare a un immediato oblio, cala sulle spoglie del Sommo Poeta, issato a nuova gloria dal settecentesimo anniversario della dipartita. Una lucrosa sagra paesana, che acquisterebbe un minimo di senso se Alighieri fosse sottratto all’accecante luce del mito e, con qualche acconcio accorgimento, attualizzato, lente di ingrandimento che consentisse di mettere a fuoco il marcio che stiamo attraversando.
    Il Sommo, intellettuale raffinatissimo e poeta superbo, era anche, e non poco, uomo di parte. Se gli si inumidiva il ciglio davanti a Paolo e Francesca, o intellettualmente si esaltava per il folle volo di Ulisse, con sadica soddisfazione spediva tra i più efferati tormenti chi gli stava sul gozzo, foss’anche un papa ancora in piena attività. Sempre, s’intende, dietro l’usbergo di una superiore visione logico-teologica in cui tutto si ricomponeva a maggior gloria del creato.
    Attualizzarlo? Applicare il suo furore morale, le sue categorie etiche alle presenti miserie civiche e politiche? Una parola. L’unico che potrebbe cimentarsi in un’impresa di tal fatta- e qualcosa del genere ha in effetti tentato - è un poeta drammaticamente sparito quarantacinque anni fa. Pier Paolo Pasolini, uomo gramscianamente di parte.
    Con una differenza sostanziale. I dannati della Commedia, con le loro nefandezze e meschinità, sono comunque avvolti in un’aura di fosca grandezza, hanno le stimmate della tragicità, riassumono ed esplicitano l’eterno conflitto tra Male e Bene, in particolare nella lettura cristiana, che sostanzia la vicenda terrena.
    Segni per nulla ravvisabili negli attori della commedia umana in scena nei secoli ventesimo e ventunesimo, infognati in un’irredimibile piattezza borghese. Rubano a man salva denaro pubblico cianciando di primati nazionali, di sovranità vilipese. Spinti da una gretta avidità da apotecari si scambiano ipocrite rassicurazioni di indefettibile lealtà per accaparrarsi le meglio poltrone, salvo fomentare una permanente rissa da bettola. Sguazzano ilari e beati in un confortevole familismo amorale (con dieci alfa privative a precedere).
    Ecco. Solo PPP, nella sua lucida e non di rado profetica visionarietà, avrebbe potuto concepire e rappresentare lo squallore sozzo, la sordida Guernica etico e morale in cui grufolano i protagonisti - classi dirigenti, politici, star ubique dell’ipershow comunicativo- che, inconsapevolmente diderottiani, considerano idee e ideologie le loro puttane. Ma Pasolini è stato ucciso; chissà, forse proprio per questo.
    Auguri, allora, Durante, indomabile sognatore fazioso. Altri settecento di questi anniversari tra brindisi e cori di giubilo. D’altronde, ansiosi, già ti danno appuntamento tra appena quarantaquattro anni - che caspita, sei pur nato, no? Vorrai mica defilarti?-, mentre penne e menti si affilano per celebrarti (e autocelebrarsi) degnamente, levando lieti calici sulla giocosa aria della Traviata.
     

  • L'IMMOTIVATA E PENOSA
    DIFESA DI DANTE
    DA PARTE DEI LEGHISTI

    data: 27/03/2021 18:31

    Ridicoli. Penosi. E inguaribilmente provinciali. Per una polemica basata sul nulla. Ma la Lega si è lanciata a testa bassa - “l’armi, qua l’armi, procomberò sol io…” (nota ad uso dei leghisti: si tratta di Giacomo Leopardi) - contro il mondo, che disconoscerebbe il Genio Italico. Nel caso specifico quello di Durante Alighieri, o se si vuole Dante, tacciato addirittura di “arrivista e plagiatore” dalle colonne della tedesca Frankfurter Rundschau. Si allerti subito il Parlamento europeo; ecco pronta la proposta di risoluzione perché le istituzioni della Ue riconoscano “il valore inestimabile di questa eredità culturale che un figlio di Toscana ha consegnato a tutto il mondo”, e per difenderlo dagli attacchi del politicamente corretto.

    Un bel sussulto di orgoglio nazionale, in perfetto stile sovranista. Peccato che quelle critiche non appaiano in alcun punto dell’articolo della Frankfurter, che anzi è di tutt’altro tenore; l’equivoco è nato da un deprecabile errore di traduzione. Ma i sovranisti vigilano indefessi, ventiquattro ore su ventiquattro, sui destini della Patria, e non tollerano affronti. Degni eredi di quanti propugnavano, in tempi che di sicuro rimpiangono, la missione di portare la Civiltà Italica tra i selvaggi, magari a colpi di gas nervino, o utilizzando ragazze adolescenti come bestioline con cui spassarsela. Tanto provinciali da fare quasi tenerezza. Incapaci di comprendere che Dante (che molti di loro neppure avranno letto, o al più sfogliato di malagrazia negli anni di scuola) e la sua opera (non solo la Commedia, ma anche il Convivio, il De vulgari eloquentia, la Vita nova e così via) da quel dì che sono patrimonio dell’umanità. Inabili a capire che la grandezza di un artista o di un pensatore o di uno scienziato, sia Aristotele (a proposito, ma i leghisti, al di là dei sussulti patriottici, hanno almeno una pallida idea del debito di Dante nei confronti dello stagirita?), sia Shakespeare, sia Einstein, sia Dante, non si può imporre a colpi di risoluzioni parlamentari. E che comunque, anche nel fuoco delle critiche (che sempre sono vitali), non può che consolidarsi. Dunque, la loro iniziativa - si perdoni la scurrilità, ma è avallata da un grande (del cinema) che metteva in scena un grande della letteratura latina -, come si sente nel Satyricon di Fellini (da Petronio), sarà “molle come una scorreggia nell’acqua”. 

  • ECCO L'ASSO NELLA MANICA DI DRAGHI: SOSTITUIRE LA POLITICA CON UNA SOCIETA' DI CONSULENZA

    data: 07/03/2021 20:34

    Distratti dalle mirabilie luccicanti e fragorose del festival di Sanremo, forse non ci siamo ancora resi ben conto di quanto è accaduto in questi giorni. Con un tratto di penna, per così dire, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha delineato un nuovo scenario; anzi, una nuova epoca. Dopo alcune nomine discutibili, ma comunque nell’ambito del quadro istituzionale, il presidente ha affidato sic et simpiciter il Recovery plan, che dovrebbe consentire la ripresa economica del paese, alla società statunitense di consulenza manageriale McKinsey.
    Oh, c’è anche chi l’ha presa come la mossa giusta dell’uomo della provvidenza. Su Facebook circola un post che la esalta perché si tratta - si perdoni la necessaria citazione della volgarità - “di gente con i controcoglioni che lavora giorno e notte”; inutile dire che l’autore della raffinata analisi è vicino a un partito che molto si è agitato per un mutamento di scenario. Ma, a parte che non si capisce come un’anomalia fisiologica possa farne dei geni, non sembra che quelli di McKinsey siano proprio delle anime intemerate.
    Il punto, comunque, è un altro. L’assunzione della società statunitense nella stesura del Recovery plan per l’Italia è il primo, importante passo nel porre le fondamenta di un nuovo ordine del mondo. La politica viene di fatto annullata, non esiste più; largo ai tecnici, a chi ha reali competenze. E lo stesso destino potranno, dovranno seguire gli Stati.
    Fantascienza? Chi vivrà vedrà. Che bisogno c’è di questi apparati elefantiaci, tardigradi, quando un’efficiente e snella società di consulenza o un agile think tank possono in tempi rapidi trovare le soluzioni più idonee? È questa la filosofia e la pratica del neoliberismo.
    Una filosofia che ha il suo architrave in un efficientismo tout court e la sua teleologia nella creazione di Ricchezza. E sul piano dei fatti ragiona unicamente in termini di tecnocrazia. Ecco, scendono finalmente in campo gli esperti, i callidi Cavalieri della Tecnocrazia, nelle cui menti albergano le limpide soluzioni di tutti i problemi del mondo. Peccato che l’esperienza insegni che la produzione di ricchezza, all’interno di questa procedura, ha il solo scopo di rendere ancora più ricca quella sempre più esigua fetta di umanità che già possiede gran parte del pianeta, e sempre meno ricca la stragrande maggioranza di umanità.
    Il neoliberismo trionfante sembra voler dare ragione a Martin Heidegger, che vedeva proprio nella Tecnica l’approdo finale della metafisica, di un pensiero, cioè, che si nutre di se stesso, scisso dalla realtà, quindi dall’uomo. Ma un pensiero, e di conseguenza una pratica, economica, sociale, politica, che non parta dall’uomo e all’uomo si riferisca costantemente, è assolutamente sterile. E il neoliberismo, con i suoi algidi Cavalieri della Tecnocrazia, in tutto simili ai Cavalieri dell’Apocalisse, non può che proporre a getto continuo i propri astratti teoremi, protetti dall’usbergo di una presunta infallibilità scientifica.
    Il capitalismo, che ha nel neoliberismo la sua creatura prediletta, è un sistema putrido, omicida; ammazza senza scrupoli i suoi figli più deboli, quelli inermi, senza difese. Un organismo minato da un gigantesco cupio dissolvi (che ha il suo emblema nell’indifferenza suicida alla questione ambientale e la sua più compiuta rappresentazione scenica nella House of cards), che adesso sembra in fase di costante accelerazione. Non è da escludere che dovremo recitare il de profundis ben prima del fatidico 2050. Prima di esalare l’ultimo respiro gridando giubilanti: grazie, presidente Draghi! 

  • UN SOTTOSEGRETARIO,
    DANTE E TOPOLINO AI TEMPI
    DEGLI AFORISMI SOCIAL

    data: 27/02/2021 16:24

    L’involontaria boutade dell’involontario sottosegretario all’Istruzione, che eleva Topolino, personaggio in effetti di molto merito, a Sommo Poeta, è un classico segno dei tempi. Nell’era imperversante dei social, della comunicazione istantanea, folgorante, dove i tempi di una feconda riflessione sono azzerati e trionfa il pensiero fast food, si assiste alla proliferazione di sentenze lapidarie, della frase che interpreti il mondo, o una sua porzione, e lo fissi nella sua ipotetica dimensione reale; della parola “che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco/ lo dichiari” (avviso per l’involontario sottosegretario: non è Tex Willer, ma un antico poeta, forse troppo lontano nel tempo perché lei possa averne contezza: Eugenio Montale).
    Facebook e twitter pullulano di aforismi, motti, massime di uomini illustri: Jung, Freud, Beckett, sant’Agostino, Giordano Bruno, Saramago, Einstein; di geni un tanto al chilo. Asserzioni che, buttate lì a casaccio, più che insegnare qualcosa diventano puro rumore, fantasmatiche attestazioni di una grandezza di orizzonti che si pretenderebbe di condividere. Non di rado, più che lecito il sospetto, inventate di sana pianta; o, come può accadere a sottosegretari involontari, di erronea attribuzione.
    Così i suddetti grandi uomini diventano gli involontari (anche loro!) propalatori di una filosofia da baciperugina. Che condensa il faticoso e diuturno lavorio intellettuale in una concisa espressione prêt-à-porter. Un calderone in cui Freud ha identica statura di Fabio Volo, Amadeus può contendere con sant’Agostino sul problema del tempo, Rocco Casalino mette in riga Saramago.
    Prendiamo il povero Albert Einstein, uno dei più sfruttati, perché se condividi una sua considerazione, be’, c’è poco da scherzare, anche tu hai del genio. Circola questa frase, a lui attribuita, o più probabilmente cacciatagli a forza in bocca. “Quando ti siedi con una ragazza al chiaro di luna, un’ora sembra che duri soltanto un secondo. Ma quando sei seduto su un tizzone ardente, ecco che un secondo dura quanto un’ora! Questa è la relatività”.
    Anche i geni possono prendere cantonate, o dire delle corbellerie; anzi, sono geni perché molto imparano dai loro errori. Per informazioni chiedere - no, sottosegretario, non a Kit Carson, ma a Werner Heisenberg o a Max Planck (nipotini di Paperino? No, non si preoccupi di chi siano; è gente tosta). Però questa elocuzione da Grand Hotel puzza di patacca lontano un miglio. Se Einstein l’ha davvero pronunciata, era senz’altro sotto l’effetto dell’alcool o di qualche sostanza psicotropa.
    L’involontario sottosegretario, debitamente piccato dai rilievi, ha promesso che andrà a rileggersi (?) l’Inferno di quel tale Durante Alighiero (no, sottosegretario, non è il factotum di Dylan Dog. Ah, forse lei lo conosce più alla buona come Dante; e già, visto che lo cita con tanta familiarità). Buon pro’ gli faccia. Potrà così vantare nel curriculum la sua personale stagione all’inferno; immedesimandosi… si calmi, involontario sottosegretario, non con Diabolik, ma con un certo Arthur Rimbaud. No, no, che c’entra Alan Ford?! Vabbe’, lasci perdere! Lo sa, no? Chi si ferma è perduto/ Mille anni ogni minuto. Oh, mica chiacchiere, l’ha detto… 

  • PARAGONARE L'AVVERSARIO
    A UN ANIMALE SIGNIFICA
    PER ALCUNI: SOPPRIMETELO

    data: 21/02/2021 18:29

    Sarebbe forse opportuno che i loquacissimi e scriteriati social, da twitter a facebook, che lesti hanno agito da maramaldi con un Donald Trump ormai disarcionato, sospendessero a tempo indeterminato il professore che ha villanamente, pesantemente, oscenamente ingiuriato l’onorevole Giorgia Meloni. Che, ricordiamolo, è la legittima rappresentante in Parlamento, cioè la massima sede di un sistema democratico, di una legittima forza politica. Sospensione che potrebbe, si spera, condurre non a scuse di comodo, ma a un’effettiva, salutare resipiscenza.
    La denigrazione dell’avversario politico (o di qualsiasi altro avversario) è, ahinoi, molto frequente, soprattutto quando scarseggiano concetti più elevati e sostanziosi. E con l’avvento dei social si è aperto il vaso di Pandora dell’irrisione, delle contumelie, delle offese sanguinose.
    Il pensiero umano è ineluttabilmente antropocentrico. Paragonare l’antagonista, il contraddittore, a un animale significa, di fatto, annullarlo. Ma questo annullamento in sede di, chiamiamolo così, pensiero, è un malcelato desiderio e un implicito incitamento ad annullarlo anche nella realtà fisica. Non sei più un mio simile, e come tale (solo come tale) rispettabile, quindi posso benissimo sopprimerti senza problemi.
    Conclusione che potrebbe trovare terreno fertile nelle menti più deboli, che davvero non mancano. Quante volte, anche nella recente storia d’Italia, frasi irresponsabilmente incendiarie o formule interpretate, per insipienza o per efferato opportunismo, in maniera distorta hanno maturato orrendi delitti?
    Il cortocircuito tra un’idea delittuosa e la pratica è la sostanza del fascismo, che ha i suoi numi tutelari e i suoi capisaldi dialettici nel manganello e nell’olio di ricino, strumenti con cui abbattere, mortificare, annullare l’oppositore: se proprio non devo o voglio sopprimerti, ti immergo nelle tue deiezioni, assimilandoti ad esse. Nella breve, ma fin troppo lunga, era che l’Italia ha vissuto in orbace, la sequela di omicidi e azioni delittuose commesse dal regime è infinita. Dal 1945 il Paese è rientrato nell’alveo della democrazia, imperfettissima quanto si vuole, ma che pone su un piano di reciproca dignità i contendenti politici. Con tutto quello che ne consegue. Anche, e soprattutto, sul piano del linguaggio. 

  • AH, SE SHAKESPEARE
    AVESSE POTUTO LEGGERE
    LE CRONACHE POLITICHE
    CONTEMPORANEE!

    data: 29/12/2020 16:32

    Ah, vecchio Willy!, machiavellico cantore di intrighi, superbo fabbro di congiure, non puoi sapere cosa ti sei perso. Se invece di nascere in quei secoli brumosi -1500,1600- avessi visto la luce a cavallo tra i fulgidi ventesimo e ventunesimo secolo, oh, quanta splendida materia avresti ricavato per i tuoi foschi drammi. Non avresti avuto bisogno di saccheggiare vecchie cronache della lontana Italia con giovani sventurati e mercanti bramosi di Profitto, o rabberciare la storia del tuo paese; ti sarebbe bastata un’occhiata distratta ai giornali e alle loro cronache politiche. Sarebbero di certo nati capolavori che avrebbero fatto apparire il Riccardo III una filastrocca per bebè. E il Macbeth nulla più che una favoletta per candidi fanciulli.
    Guarda, guarda che storie potenti, che caratteri scolpiti nel marmo! Al trono è asceso l’irresoluto ma callido Earl, sostenuto dalla fazione della Rosa Rossa Sfiorita e dalle Stelle Cadenti, sempre in lite tra loro su tutto tranne che sulla sete di Potere. Un po’ discosto, dopo l’inchino di prammatica, mezzo in ombra dietro un pesante tendaggio, l’Eterno Cospiratore, McMatt, pugnale ben nascosto sotto il mantello, ma pronto ad affondare nella schiena del sovrano di turno, in un gaio tintinnio di campanellini, mentre un coro di angeli salmodia ispirato: “Stai sereno, stai sereno!”.
    Ritiratosi nel suo maniero, dopo aver retto le sorti del regno per un ventennio, ed essere incappato nella sventura di una penitenza che lo ha costretto a prostrarsi ai piedi di un branco di pezzenti, il volpino Berluckingham, dal sorriso su cui mai tramonta il sole, continua a cospirare a destra e sinistra, senza mai abbandonare il sogno di conquistare la massima onorificenza del reame, ambita da tanti, primo tra tutti il poliedrico sir Walter Scribbling, onusto di gloria e benemerenze umanitarie anche al di là del tempestoso oceano.
    E poi… il pingue Falstaff, dal pelo incerto a ricoprirgli la pappagorgia, fanfarone e voltagabbana come un volgare miles gloriosus, spietato verso chi non ha armi per difendersi, abile a simulare una pelosa generosità quando tutti gli occhi sono puntati su di lui, umile, untuoso, bassamente servile verso chi appena appena ha un pizzico di potere e potrebbe assecondare i suoi confusi disegni.
    E ancora… lo scaltro Lothus, un piede nella staffa del Partito della Corona, l’altro in quella delle turbolente schiere dell’Eterno Cospiratore… non si sa mai, tutto fa brodo. E l'assatanata Lady MacGeorge, occhio basedoviano, eloquio infuocato che dardeggia come spada contro i petti nemici, lesta a brandire pugnace, in perfetta lega col suo alleato, la bandiera patria per scandire perentoria: “Indietro va’, o straniero!”.
    E tutti, tutti, in compunto pellegrinaggio verso la Torre di Londra.. ops, scusa Willy, la Torre di Roma (per gli autoctoni Rebibbia), dove è finito in catene l’Infido Consigliere Dennis Butcher. Per una bagatella, una di quelle storie che, come per esempio i furti nelle casse dello stato, nel Paradiso del Profitto neanche si considerano crimini, e suscitano tra le persone di mondo sorrisi e ammicchi.
    Vedi che po’ po’ di soggetti, di figuri loschi, di trame da leccarsi i baffi? Robetta, al confronto, i tuoi York e Lancaster o i Claudio incestuosi. Educande timorate le lady Macbeth, le Goneril e Regan. Un bamboccione in vena di marachelle Iago. Insomma, io l’imbeccata te l’ho data; vedi tu, Willy. E se ci sei, batti un colpo. 

  • CONSUMATORI-DONATORI
    APPARENTATI DAL REGALO
    A UN GIOVE BENIGNO

    data: 14/12/2020 23:14

    L’antropologo David Graeber, feroce critico del neoliberismo, ahinoi troppo presto scomparso, l’ha scritto a chiare lettere: “La libertà economica, per la maggior parte di noi, è stata ridotta al diritto di comprarci un pezzetto della nostra subordinazione permanente” (Debt: the first 5000 years). C’è qualcosa di inquietante, di folle addirittura, nell’atmosfera di questi giorni. Non solo e non tanto per l’imperversare della pandemia, quanto per i comportamenti del cosiddetto (da se stesso) homo sapiens.
    Richiamati dal piffero natalizio, fiumi di consumatori hanno intasato i centri cittadini; dalle anguste via Toledo (a Napoli) e via del Corso (a Roma) agli sbrilluccichii di Milano, Torino giù giù fino al sud diseredato, in un rito collettivo che per un effimero pomeriggio di shopping ha dato senso all’espressione geografica “unità d’Italia”.
    Difficile cogliere la ratio di quest’orgia oblativa. C’è, di sicuro, in primissimo piano, la volontà di negare i dati della realtà: ma quale pandemia e pandemia, non rubiamo il Natale ai bambini, come ha furbescamente perorato un politico abilissimo nel gioco delle tre carte (ma solo in quello). E i bambini di tutte le età, infatti, si sono riversati come incontenibile marea là dove li conduceva il pifferaio, sordido complice di quel bel tomo di babbo Natale. Ma c’è sicuramente dell’altro.
    Fare un dono, in apparenza, equivale ad un’evidente dimostrazione di altruismo: io sto pensando agli altri, voglio effondere su loro il mio affetto. Ma se si gratta via la buccia, vien fuori qualcosa di molto differente. Un atto in cui il telescopio è puntato esclusivamente sul proprio Ego. Un gesto che sottintende un potere: si dona perché si ha già, e lo si vuol affermare all’esterno. Guarda, io sono tanto potente che posso alienare a tuo favore una briciola di quanto è mio. Il regalo apparenta il consumatore-donatore a un Giove benigno.
    Trionfa, in tutte le sue accezioni, la business onthology, l’ontologia aziendale, verbo del neoliberismo, come riporta Marco D’Eramo nel suo illuminante Dominio (Feltrineli, pp. 254, euro 19). Ideologia costruita a bella posta, con un tenace lavoro di decenni, per i padroni del vapore e i potenti, al fine di renderli ancora più potenti e più padroni. Con le favole accademiche in cui i ricchi sono gli arcangeli che fanno discendere sul pianeta la manna del benessere e dell’appagamento universale. Infilato come un criceto in una ruota che non si ferma mai, ingranaggio minuscolo, insignificante e tutt’altro che potente, il consumatore non fa che asservirsi placidamente a questa ontologia, a questo pensiero totalizzante, che azzera i valori e tutto riduce al suo valore, al prezzo. Tutto. Persino l’affetto, l’amore e qualsiasi forma di apertura verso l’altro. 

  • SE LE ELEZIONI USA SONO
    UN COLOSSALE IMBROGLIO...

    data: 16/11/2020 13:52

    Non è possibile dubbio alcuno. È ora di gridarlo ai quattro venti: le elezioni presidenziali americane sono un colossale imbroglio, una truffa. Un intrigo che miscela con sapienza inquietudini politiche e allarmi pandemici. Le sceneggiature realistiche di The goodwife trovano puntuale conferma nei fatti.
    Ogni Weltanschauung complottista, che negli Usa hanno una culla feconda, è un formidabile analgesico: consola gli afflitti, conforta i delusi, rinsalda i dubbiosi su certezze granitiche. Fornisce una lettura di come va il mondo sulla base di assiomi (che per principio non vanno dimostrati) assunti ad articoli di fede. Se il mondo è diverso da quello che auspicheremmo, ecco la spiegazione, la radice infetta del male; il tutto illustrato in quattro semplici righe. Trump detronizzato? Viva Trump.
    Visto dal vecchio continente, e quindi dall’Italia, il problema non è che Trump è Trump, che i trumpiani sono trumpiani (armati fino ai denti, ma lì si può sparare ad libitum). Il problema è che i trumpiani d’Italia sono legioni, prosperano. Fomentati da certa stampa, forse casualmente schierata su posizioni politiche ravvisabili come destra, più o meno barricadera. Armati di tutto punto di social, vere latrine della dialettica. Spalleggiati e stimolati da qualche politico cialtrone (per incredibile che possa sembrare, ce n’è anche in Italia) che non si perita di asserire, ad ogni passaggio televisivo o altrimenti mediatico, che ci sono stati più votanti che elettori ufficialmente registrati.
    Così su facebook furoreggia un post in cui Joe Biden, neoeletto presidente americano, arruolato a forza tra le file sataniste, è ripreso in un cimitero mentre ringrazia i defunti per il voto ricevuto. “I brogli - si legge in altri post- stanno assumendo proporzioni bibliche… decine e decine di milioni di schede… provenienti da diverse nazioni come la Cina e l’Italia”.
    Per converso, Donald Trump, la cui biografia politica e imprenditoriale resta intonsa, col suo bel ciuffone birichino, assume figura di santo. Titanico antagonista di “tutti i poteri forti”, dalla perfida Merkel ai soavi radical chic e al malefico mondo mussulmano, indomito profeta di un mondo nuovo (finalmente libero e giusto, è sottinteso), che adotta per slogan, postato di fianco a un incrollabile, taumaturgico Trump issato sul grido di guerra “It’s time”, un brano attribuito all’incolpevole Giordano Bruno: “il cambiamento arriverà inatteso dopo che i potenti saranno convinti di aver vinto”.
    Da taumaturgo a taumaturgo. Solo Totò, a questo punto, può ripristinare le ragioni della ragione (si perdoni il bisticcio) col suo indimenticabile: “Poi dice che uno si butta a sinistra”. Sempre ammesso che riesca a trovarla. 

  • ORA STEVE BANNON
    VUOLE LA GHIGLIOTTINA
    PER FAUCI E WRAY

    data: 11/11/2020 20:01

    Dopo la galera (con l’accusa di frode), il bando. Da twitter. Senza possibilità di appello. Perché Steve Bannon, spregiudicato stratega del trumpismo arrembante e idolo dei trumpiani di tutt’Italia, l’ha fatta, ancora una volta, fuori dal vasino. Non si sa se ispirato dalle convulse vicende della rivoluzione francese o dai collerici decreti della Regina di cuori del paese delle Meraviglie, Bannon ha emesso una condanna alla decapitazione per Anthony Fauci, l’immunologo della Casa Bianca, da qualche tempo inviso allo stesso Donald Trump perché non metterebbe un’opportuna sordina agli allarmi sul Covid.
    Non pago, Bannon ha associato alla condanna anche il direttore dell’Fbi, Christopher Wray. Verdetto stilato in un linguaggio rude e schietto su uno dei social più diffusi, forse il più diffuso, nel mondo. “Quanto mi piacerebbe tornare al buon tempo antico- questo il testo-. Allora piazzerei le loro teste in cima a un palo e le esporrei ai lati della Casa Bianca, così, giusto come monito”. Di fronte a tanto orrore, twitter non ha avuto scelta: che bando, perpetuo, sia. Ma gli accoliti italiani dello spin-doctor in disgrazia, che mai brillano per originalità e indipendenza di giudizio, potrebbero trovare stimolante la truculenta esternazione della loro guida spirituale. E cominciare a pensare che, in fondo, Conte, Giuseppi per gli amici americani, ha una gran bella testa.

  • SE ALLA COSTITUZIONE
    È VIETATO L'INGRESSO
    NELLO JUVE STADIUM

    data: 04/10/2020 22:38

    L’articolo 32 della Costituzione, sino a prova contraria ancora vigente, è chiaro e inoppugnabile: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…”. E nel secondo comma dello stesso articolo stabilisce: “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La legge, addirittura. Cosa, dunque, può, potrebbe, un protocollo? Zero, meno di zero. Ma i signori che regolano le plutocratiche sorti del pallone patrio, in evidente delirio di onnipotenza, ebbri forse per le vertiginose giostre di danaro in cui si compendia il significato del calcio, hanno stabilito che no, loro con la Costituzione ci fanno quello che promettevano di fare i leghisti d’antan.

    Come don Rodrigo, celeberrimo esempio di iattanza da potere, decreta che “questo matrimonio non s’ha da fare, né ora né mai”, così loro decidono che, chi se ne fotte della Costituzione, “questa partita s’ha da giocare. Ora”. La vicenda è stranota: un paio di giocatori del Napoli sono risultati positivi al Covid e l’intera squadra ha appena giocato col Genoa, che è un vero e proprio lazzaretto. Logica elementare imporrebbe un alt. A Juve-Napoli, in programma stasera, ma anche a tutto il campionato (la stessa Juve ha avuto un paio di positivi). Ma no. Non sia mai. I sommi reggitori del calcio hanno appunto varato un ridicolo protocollo per portare avanti il carro di Tespi della palla italica, per cui se non ci sono proprio morti e feriti si può benissimo giocare. Dunque si giochi Juve-Napoli.

    Che dite? Il Napoli è stato fermato dalla Asl e non può recarsi a Torino? Pazienza, si può fare senza. Se la Juve scende comunque in campo, così, tanto per prendere una boccata d’aria, vince comodamente 3-0. Con buona pace della cosiddetta sportività, del povero de Coubertin. E anche della Costituzione, attrezzo antiquato, antidiluviano, che ancora si occupa della salute delle persone, con tutti i milioni e milioni di euro che ci sono in ballo. Scherziamo? 

  • GRANDE E' IL DISORDINE
    PER LE VIE DEL MONDO.
    CON I MONOPATTINI, POI...

    data: 18/09/2020 11:48

    Una bimba sui 10-12 anni avanza imperterrita, e anche un tantino proterva, su uno strano trabiccolo; non un monopattino, semmai un affine: un’esigua piattaforma rettangolare a due ruote in plastica. Non bada alle macchine che le vengono incontro: che si spostino, o si arrestino. La sua compagna di giochi , monopattinata, scorrazza sul marciapiede incurante della selva di gambe che l’attorniano. Ciclisti fluiscono in ogni senso di marcia, sulle ciclabili, lungo la strada o anche sui marciapiedi, tesi nello sforzo eroico di rinverdire i fasti di Maspes e Gaiardoni, indifferenti all’incolumità propria e degli incolpevoli pedoni; d’altronde, sembra che qualche improvvido ambientalista abbia decretato che possono andare tranquillamente anche contromano.

    I giornali resocontano dissennate gare in monopattino a Roma tra il Colosseo, piazza Venezia, il Corso. Da Parigi giungono notizie di gravi incidenti, spesso mortali, per le evoluzioni da monopattino. Le strade urbane, e non di rado extraurbane, somigliano a circhi equestri dove ognuno, a pubblica dimostrazione del proprio talento, sciorina il numero prediletto.
    Una potente allegoria. Nello stile del Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch. Una baraonda allucinante, di cui a tutta prima sfugge il senso logico. Grande è il disordine per le vie del mondo, ma la situazione è tutt’altro che eccellente. La mobilità, intesa come sistema generale di spostamenti di persone e cose, nel declino inesorabile ma tardigrado del modello incentrato sull’auto privata, è una grande malata. Prossima al tracollo finale, necessita di cure urgenti. Di un antidoto efficace ad un’imperversante e rischiosissima deregulation. In soldoni, di una riscrittura- cum grano salis- dell’intera normativa sulla circolazione; non affidata a suggestioni e slanci emotivi occasionali, ma commisurata ad esigenze, diritti, e soprattutto doveri, di chi circola.

    Tre secoli fa, per affrontare il dramma della sovrappopolazione in Irlanda, lo scrittore Jonathan Swift avanzò la “modesta” (e sarcastica) proposta di dare in pasto ai ricchi signori i figli dei poveri, dopo averli debitamente ingozzati come oche per rimpolparli. La giuliva anarchia del trasporto, che riflette e rilancia l’esiziale dogma competitivo del liberismo, oggi addirittura iperliberismo, si presenta molto meno efferata della paradossale mozione swiftiana. Ostenta il piglio volitivo ed efficientista tipico del mondo cosiddetto sviluppato, delle moderne società postindustriali e digitalizzate. Nel trionfo dei più selvaggi animal spirits. Che sfrecciano incontenibili su due, tre, quattro ruote, gravidi di una demenziale strage degli innocenti. 

  • LA SFIDA ALLL'OK CORRAL
    DI TRUMP E TRUMPIANI

    data: 04/09/2020 14:42

    C’era una volta il West. No. Con buona pace dell’immaginifico Sergio Leone e della splendida Claudia Cardinale, il West è ben vivo e lotta… contro di noi. Negli Usa di questi giorni, che si avvicinano di gran carriera alle elezioni presidenziali, tuonano le armi; con tanta frequenza e fragore da far apparire la sfida all’Ok Corral nulla più che una filastrocca per bebè. Tuonano, sì, ma a senso unico: contro i cittadini neri e ispanici; simbolicamente, l’Uomo nero che angustia il sonno degli infanti, lo sgangherato American Dream della componente wasp di quel grande paese. Il cui nucleo fondante è l’esasperata ricerca di successo, misurato quasi esclusivamente in termini monetari.

    E’ sotto gli occhi di tutti che, sotto la presidenza di Donald Trump, il livello di violenza si è spaventosamente accresciuto. La polizia ha pressochè un’ufficiosa licenza di uccidere; e proprio in questi ultimi giorni lo sta facendo a man bassa. Con l’ausilio di una folta schiera di estremisti di destra, cittadini benpensanti (magari simpatizzanti o membri a pieno titolo del Ku Klux Klan), da cui non solo le forze dell’ordine non prendono le distanze, ma addirittura incoraggiano e ringraziano (vedi Internazionale, 3 settembre 2020, Il legame pericoloso tra l’estrema destra e la polizia statunitense). L’esempio viene dall’alto. Donald Trump, la cui legge morale si ispira a Kant ma rivisitato da Billy the Kid (Tu devi… sparare), anziché stigmatizzare, in nome del diritto, l’omicida diciassettenne Kyle Rittenhouse, lo ha giustificato adombrando una risibile legittima difesa.

    Questa logica delle armi non è questione che riguardi solo gli Stati uniti. Tra le file della destra europea e italiana Trump, con tutto il suo bagaglio “ideale”, è un idolo, un modello luminoso. Il che costituisce un non piccolo pericolo, anche per l’Italia. Se lo smargiasso leader della Lega è in declino, per evidente insipienza politica e non solo, la leader di Fratelli d’Italia è non meno truculenta, e molto più astuta, del suo compagno di cordata alla scalata del potere. Anche per loro la madre di tutte le battaglie politiche, la panacea per risolvere i tanti guai del paese, è la caccia all’Uomo nero. E si è già visto, purtroppo, come alcuni loro accoliti abbiano accolto e interpretato questo messaggio. 

  • MA PER QUANTI ITALIANI
    QUEL FURFANTE DEL DUCE
    E' UN IDEALE POLITICO?

    data: 10/07/2020 14:38

    “E sempre viva il duce, Bartolo”. La frase còlta al volo, sulla soglia di un negozio, dà l’immagine del paese. Persone normali, normalissime, di sicuro oneste, probabilmente simpatiche, con le quali, in teoria, potresti fermati a bere un caffè o impegnarti un torneo di briscola. Settantacinque anni dopo l’ingloriosa fine di un regime funesto e furfantesco, inutile nasconderselo, non sono pochi, tutt’altro, quanti guardano al duce (che su quasi ogni pubblicazione, per motivi inesplicabili, compare con l’iniziale maiuscola) come a un ideale politico supremo.

    E nell’arengo politico il non compianto capo di stato vanta più tentativi di imitazione della Settimana enigmistica; fare la voce tonitruante, assumere pose smargiasse, individuare un nemico su cui indirizzare con frasi e atti biechi i malumori e i livori di masse frustrate, evidentemente paga. Non ci dovrebbe essere bisogno di ricordare chi e cosa era il cavalier Benito Mussolini. Un avventuriero che sempre seguiva l’odore dei soldi, da qualunque parte venissero. Il mandante di una lunga serie di omicidi. Un capo di stato fallimentare, convinto di essere tanto furbo da potersi assicurare, facendo morire solo qualche migliaio di fantaccini, i dividendi di una guerra che considerava già vinta dal suo complice e mentore.

    Non fosse morto, un tribunale, per crimini di guerra e non solo, sarebbe stato il suo naturale approdo. Ma la memoria è corta, fallibile, preda di facili suggestioni, e poco si è fatto, in Italia, per rendere senso comune il ripudio della iattura nera. L’epitaffio più calzante per l’uomo e la sua creatura politica l’ha coniato in questi giorni l’attrice Franca Valeri (nome d’arte di Franca Norsa) in un’intervista al Corriere della Sera, alla vigilia del suo centesimo compleanno. Quel 25 aprile 1945 lei, di famiglia ebrea, era andata a piazzale Loreto per vedere con i propri occhi i cadaveri di Mussolini e di Claretta Petacci. “E vuol sapere se ho provato pietà?- chiede all’intervistatore-. No. Nessuna pietà. (…) avevamo sofferto troppo”. 

  • IL FASCINO SOTTILE
    DELLE CANDELE
    CHE ODORANO
    "COME LA MIA VAGINA"

    data: 18/06/2020 18:15

    Una nota attrice… no, no, attrice è riduttivo. Una diva, termine che indica già uno stato che trascende l’umano, da qualche tempo si è messa a commerciare in candele. Dotate di una curiosa peculiarità; la prima, messa in circolazione ad inizio d’anno, odorava, parole testuali della diva, “come la mia vagina”; quella appena lanciata sul mercato odora, sempre testuale, “come il mio orgasmo”.
    Non occorre avventurarsi tra i testi sacri della psicanalisi per cogliere al primo sguardo la metafora sessuale incorporata nella modesta candela, potenziata dai dettagliati riferimenti della venditrice. Insomma, un invito tanto birichino quanto, va da sé, virtuale in tutti sensi. Semmai un’allusione beffarda all’autoerotismo.
    Ma quello che davvero colpisce è l’appello all’olfatto non in semplice qualità di alleato ed efficace stimolatore, ma quasi come succedaneo degli organi sessuali: farai, o immaginerai, l’amore con me attraverso gli odori che il mio corpo, di diva, dalle sue zone più intime, emana.
    L’odore, si sa, è la parte in ombra di ogni personalità. Introduce a cavità, funzioni e segreti che si tenta in tutti i modi di tenere nascosti. Ettolitri di profumi vengono sparsi ad ogni ora del giorno per eliminare, ricacciare, allontanare effluvi che vengono classificati sgradevoli.
    Com’è lontana la magia del Cantico dei cantici, che lodava anche l’odore inebriante dell’amata. Trascorsi i fasti dei saloni di Versailles, dove il sentore di corpi mal lavati, irrorati con ogni genere di profumi, sprigionava olezzi avvertibili a centinaia di metri, i bagni dell’homo sapiens sapiens offrono mensole su cui spiccano deodoranti, balsami, profumi di ogni fantasiosa composizione: vade retro.
    L’unica eccezione si attribuiva ai santi in pectore, cui sarebbero stati risparmiati i miasmi della decomposizione corporea, restando olfattivamente neutri. Vero, falso? Ne I fratelli Karamazov, Dostejevskij nella stanza in cui giace il corpo di padre Zosìma, religioso in odore di santità, tiene aperta una finestra, appunto per liberarla da un odore molto meno spirituale. Ma la credenza e l’espressione resistono ancor oggi.
    A parte la stimolazione erotica, c’è allora da rilevare un peccato di hybris, di incontrollata superbia, nella commercializzazione del prodotto. I santi, per essere riconosciuti tali, devono affrancarsi dall’odore, come evidente contrassegno della loro corporeità, notoriamente corruttibile.
    Le candele erogene capovolgono questo impianto logico - o illogico, secondo i punti di vista. L’odore viene esaltato, magnificato; attinge una dimensione che non è più soltanto terrena. Da qualsiasi parte del mio corpo di diva provengano, gli odori non hanno nulla di repellente; sono odori da diva, di conseguenza divini. Con buona pace dei titanici sforzi di quanti, attratti dal divino, ma provvisti di mezzi unicamente umani, aspirano alla santità. 

  • SE NON UN TRONO,
    UN SEGGIO
    PER IL PRINCIPE
    DEI SOTTACETI...

    data: 10/06/2020 18:16

    Il signor Emanuele Filiberto di Savoia, d’alto ingegno perché d’alto lignaggio, dopo aver allungato lo sguardo notoriamente acuto ed essersi immerso in profonda riflessione sulle cose d’Italia, ha stabilito che no, così proprio non va. E ha deciso che generosamente offrirà il suo inestimabile contributo per riequilibrare la situazione.
    Come non accogliere con giubilo la decisione del rampollo di tanto illustre schiatta, che può vantare nel nutrito curriculum, oltre a diverse e fondamentali apparizioni televisive, alcune stagioni da piazzista di sottaceti, sia pure di non straripante successo? Il sempreverde Savoia ha dalla sua, al di là delle innegabili doti, la storia illustre, lusinghiera dei suoi antenati, che sempre si sono spesi nel più assoluto disinteresse, fino al sacrificio personale, per il bene del paese. E, costretti a un’umiliante emigrazione, sono tornati in punta di piedi - noblesse oblige - in Italia.
    Mai che abbiano alzato la voce neppure una volta, mai che abbiano dato prova di plebea ingordigia col reclamare beni che un tempo, appannaggio della carica che per gli imperscrutabili decreti dei fati ricoprivano, incrementavano il patrimonio familiare, oculatamente difeso e provvidamente rimpinguato da ogni nuovo sovrano.
    Con l’Italia e le sue ricchezze sulla bocca, nel cuore, nella mente, il sempreverde Emanuele Filiberto annuncia all’adorato popolo italiano che varerà un think tank, che è come dire una consorteria di cervelli dediti unicamente a produrre idee per il bene del paese. Una gragnuola di idee sotto l’etichetta - forse un richiamo nostalgico, in queste ore buie, ai tempi felici dei sottaceti - Più Italia. Con l’occhio, e piena consonanza di intenti, alla già collaudata Fratelli d’Italia, di cui il sempreverde dichiara di apprezzare, con lo stesso entusiastico slancio patriottico con cui il bisnonno apprezzò il verbo rivoluzionario di tal Benito Mussolini, spirito e visione. 

  • E IL CAPO DELLA LEGA
    REGALO' L'ETNA
    ALLA SUA AMATA NAPOLI

    data: 06/06/2020 19:26

    Dunque, il capo della Lega si è recato in questi giorni nel Sud d’Italia. Unicamente spinto da smodata passione per il Meridione e le sue genti; un’attrazione fatale per cui non esita, protetto solo da un’esile mascherina, ad avventurarsi in terre dove, come lui ben sa e ha spesso dovuto rilevare con l’abituale bonomia e spirito francescano, il colera infuria e le popolazioni locali sono congenitamente avverse all’uso del sapone e a qualsiasi norma igienica.

    Nel manifesto che annuncia il suo arrivo a Napoli, sull’immagine del golfo che campeggia alle sue spalle si staglia l’Etna, solitamente collocato in Sicilia, ma trasferito per l’occasione. Potrebbe sembrare un errore, nato nell’ansia di raggiungere i luoghi agognati. I soliti detrattori di professione, tetragoni a tanta dedizione, vi avranno invece visto una provocazione. Il “formidabil monte sterminator” esaltato da Leopardi, è noto, ha da decenni riposto la lava nel freezer, e se ne sta in panciolle e serafico come un pensionato ad accogliere le torme di turisti. Quindi, avranno congetturato, ecco che il lombardo architetta di delegare al più vivacetto collega siciliano i compiti che il Vesuvio da tempo non assolve.

    Maldicenze gratuite, cattiverie da agit-prop. Quell’abbinamento estemporaneo è in realtà un’ingegnosa soluzione artistica, perfettamente nelle corde dell’eclettico personaggio, per raffigurare in estrema sintesi una porzione amatissima di quell’Italia per cui il suo cuore batte da sempre. Tutti sanno che abita, con i magri e sudatissimi proventi di una professione che lo vede sempre in prima fila a difendere le ragioni dei meno fortunati, in un modesto bilocale, da cui spesso compare in televisione davanti a frugalissime cene, in pretto stile francescano. Disponesse di più spaziosa dimora, non v’è dubbio che accoglierebbe colonie di meridionali. Con cui intonare, tra una pizza e un babà, un’allusione a Troisi e una citazione di Giambattista Vico, l’immortale “è nato ‘nu criaturo/ è nato niro…”; un colore che letteralmente lo fa impazzire. 

  • MASCHERINE, MACABRA
    MODA, FRA MERCATO NERO
    E HAUTE COUTURE

    data: 20/05/2020 19:07

    Non ci fossero le foto, si potrebbe pensare a uno scherzo. Di cattivo, pessimo gusto, ma nell’intento di alleggerire un po’ il clima tetro di un momento critico. Da Berna, Svizzera, arrivano le immagini di una vetrina - Breitenrain, quartiere semicentrale, pieno di negozi e supermarket - che espone mascherine istoriate anticovid-19. Prezzo: 20 franchi; poco, pochissimo meno di 20 euro. Non si fa in tempo a riaversi dallo stupore, e lanciare qualche moccolo, ed ecco le mascherine haute couture, disegnate da uno stilista di vaglia. Presentate su uno dei giornali italiani di quelli che “fanno tendenza”, senza la più piccola ombra di ironia, come “gli oggetti più di moda del momento”.

    Non saranno commercializzate, viene precisato; il che è un pressante invito a chi ha denaro da buttare, e un congruo tasso di cafonaggine, a far di tutto per accaparrarsele e ostentarle, sbatterle in faccia a chi non può che inalberare una dimessa, misera mascherina chirurgica. Del resto, l’Italia è stata/è teatro di un’oscena farsa: una strenua gara per non far arrivare nelle farmacie le famose mascherine a 0,50 centesimi (0,61 con l’Iva), una speculazione che riporta ai giorni cupi del mercato nero.

    Quasi una pagina da Il caro estinto, il romanzo satirico di Evelyne Waugh (trasposto anche in film negli anni Sessanta), che già oltre settant’anni fa prendeva ferocemente di mira il way of life statunitense, capace di trasformare in redditizio business anche la morte, e farne un nuovo status symbol, una bandiera da ricchi e superricchi da sventolare sotto il naso di chi ricco non era.

    Uno solo, infatti, è sempre e comunque il protagonista. Il denaro. Che scava solchi, abissi, mantiene saldi reticolati di filo spinato tra classi sociali. E genera abiezione. A Boltiere, provincia di Bergamo, un bambino di dieci anni, incastrato in un cassonetto, muore con il torace schiacciato. Scalzo, come i suoi quattro fratelli, stava cercando di tirar fuori dai rifiuti qualche vestito. Non ne avrà più bisogno; e neppure di mascherine, griffate o meno. 

  • QUANTA RIOTTOSITA' E LITI
    DIETRO LA PAROLA "UNITA'"

    data: 06/05/2020 15:58

    Se le parole hanno una vita, la parola "unità" ha avuto, in Italia, il suo secolo d’oro nell’Ottocento. Sogni insurrezionali. Fasti risorgimentali. Giovani che correvano a farsi uccidere col sorriso sulle labbra, perché pervasi da un ideale che sfiorava il misticismo. Raggiunse l’apoteosi nel 1860, quella parolina, il definitivo coronamento nel 1870, con la breccia di Porta Pia. Servì a infiammare gli animi, e a fare di quella che veniva definita con disprezzo “un’espressione geografica” una nazione, col benevolo assenso delle grandi potenze. L’Italia unita. Anche se quell’unità era il mantello sfarzoso che ricopriva disparità stridenti, culture e costumi eterogenei.

    Dopo un paio di secoli, la musica cambia. Del resto, ogni esistenza è un’altalena continua di alti e bassi. La parola unità è un guscio vuoto, un ingannevole canto delle sirene, intonato con tutt’altre intenzioni. Nel teatro e in letteratura un espediente ricorrente e fondamentale è l’agnizione: il momento, cioè, in cui avviene un riconoscimento che dà una svolta definitiva alla storia. Nella storia recentissima dell’Italia, questo compito lo ha assunto il Coronavirus, col suo triste, spietato fardello di lutti. La maschera dell’unità, peraltro già a brandelli, è caduta. L’agnizione mostra un paese perennemente e fastidiosamente riottoso, diviso da gelosie, liti da condominio, derby campanilistici, mai sopiti, anzi crescenti razzismi, furbizie da magliari.

    È il trionfo del “particulare”, tabe antica in queste contrade. Con echi inquietanti quella parola risuona nell’arengo sempre ribollente della politica, specchio veridico del paese. Nella morsa della pandemia, mille voci si levano ad invocare un governo di unità nazionale. Farebbe aprire il cuore alla speranza, in teoria. Nel ricordo di quanto avvenne nel dopoguerra, che peraltro non fu proprio rose e fiori. Ma c’è poco da stare allegri. La formula altisonante nasconde, piuttosto male, meschini calcoli di bottega. L’imperativo, al momento, è buttare a mare Conte e la sua compagine; a questo lavorano con lena persino alcuni suoi alleati. Dietro la cortina fumogena di un governo embrassons-nous, ognuno continuerebbe a tessere intrighi per scagliare, nel momento ritenuto opportuno, la stoccata decisiva agli altri unitari e impossessarsi del boccino. E il gioco riprenderebbe da capo. L’immagine di Enrico Letta, presidente del consiglio che passa, sulle labbra un sorriso tirato con le tenaglie, il rituale campanellino al successore che gli ha fatto le scarpe, ne è il simbolo perfetto. 

  • "HOMO HOMINI LUPUS"
    E DALLI ALL'ANZIANO!

    data: 18/04/2020 19:39

    In un celebre scritto, il pamphlet “Una modesta proposta”, Jonathan Swift lanciò l’idea di cucinare e mangiare i bambini, per cancellare l’osceno spettacolo della miseria dalle strade di Dublino, con fanciulli che sciamavano appesi a grappoli alle gonne di lacere mamme questuanti. Era il 1729. A distanza di tre secoli, il Covid-19, o Coronavirus, o più genericamente pandemia, fa scattare un gioco delle proposte che in qualche modo le somiglia.
    Che fare per rintuzzare, se non proprio eliminare, i rischi del contagio? Anche quando l’ondata nera sarà passata, come creare le condizioni perché non si ripeta? Questa l’angosciosa domanda. I governanti del pianeta, più appanicati di noi comuni mortali, o forse troppo impegnati a riempire gli arsenali di bombe missili e F-35, laddove un tempo si pensava a riempire i granai, per non dare l’impressione di stare con le mani in mano, lanciano idee a getto continuo, autenticii vulcani di fosforo. Con un bersaglio fisso: gli anziani.
    Sembra che una volta isolati, inchiavardati, reclusi a tempo indeterminato questi soggetti ingombranti, superflui, diciamolo pure: molesti, il più sarà fatto, e il sole tornerà a risplendere sulle sciagure umane. Tanta alacrità di menti, se tradotta in atti, avrebbe un duplice effetto, lontano però mille miglia da quello agognato. Sul piano teoretico farebbe rifulgere l’antico detto “homo homini lupus”, issato a caposaldo, assioma imprescindibile, del pensiero del secolo ventunesimo. Sul piano pratico, riporterebbe surrettiziamente sulle scene del mondo la legge del branco, che va avanti per la sua strada e abbandona al proprio funesto destino i membri più deboli; ammesso e non concesso che, al netto di gravi malattie pregresse (che peraltro si possono avere a 80 come a 35 anni), gli anziani (ma come - e chi- si stabiliscono i confini di questa categoria?) siano i soggetti più deboli della comunità umana.
    E il Covid continuerebbe a ridersela sotto i baffi.
     

  • E LA PESTILENZA RIACCENDE
    IL FERVORE RELIGIOSO

    data: 14/04/2020 14:35

    Commovente. Non si può definire altrimenti, anche se non si crede, questo improvviso riaccendersi del fervore religioso, nel bel mezzo di una pestilenza che infetta un globo sempre più materialista. Infiammati dalla predicazione debordante del nuovo Savonarola, sei giovani, sfidando le leggi umane, novelli Antigone, si sono diretti con decisione verso la basilica di santa Maria maggiore, a Roma. Da lì avrebbero intrapreso una marcia verso san Pietro, un vero e proprio attacco al cuore dello stato pontificio. A tutti i costi volevano officiare una santa messa, per celebrare degnamente la Pasqua e il mistero della Resurrezione.
    Li hanno fermati, inflessibili, i tutori delle leggi umane; norme che, ahinoi!, poco si curano dei sussulti dello spirito. Sono le forze nuove che danno anima, braccia, gambe, e ogni altro muscolo disponibile, alle parole del loro mentore, quel Savonarola new age, bilioso e truculento, che tracima da ogni possibile palcoscenico, si impossessa di ogni possibile riflettore, mosso da una fede che non conosce ostacoli, liberando la lingua in esercizi dialettici incandescenti, ostentando la panoplia dei più toccanti simboli religiosi, trascinando nelle sue roventi peregrinazioni catodiche anche innocenti fanciulli, testimonianza e pegno dell’innocenza del suo cuore. Disdegnando, occorre dirlo, la verità delle umane cose perché troppo impegnato a diffondere una verità più alta, una genuina ispirazione divina; evidentemente.
    Qualcuno, là in alto, deve avergli comunicato la volontà di manifestarsi attraverso la sua bocca. E Savonarola, pio e diligente, esegue. Per suscitare e fomentare ad ogni sermone altri proseliti, quelle volenterose, anche se un po’ approssimative, forze nuove che ne attuino il verbo.