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PAOLO BUTTURINI

  • SALVINI LO FA PER SALVARE
    LA PROPRIA LEADERSHIP
    MA FRA DEMOS E KRATOS
    SI ALLARGA IL FOSSATO

    data: 06/10/2021 19:36

    E se per una volta avesse ragione Salvini? Il diverbio, che probabilmente si ricomporrà a breve, sulla delega fiscale al Governo; la Lega che diserta il Consiglio dei ministri; il Presidente Draghi che “tiro dritto” (espressione quanto mai ambigua): in altri tempi avrebbero generato una crisi di governo. Ora i media mainstream la presentano come un’impuntatura del leader leghista, scottato dal risultato elettorale e in cerca di nuova visibilità.
    Senza dubbio c’è anche questo anzi, da parte di Salvini, è verosimilmente la ragione principale. Proviamo, invece, a inquadrare la querelle in un contesto più ampio e sottrarla alla logica degli schieramenti da social (una volta si sarebbe detto “da bar”).
    Non più tardi di tre settimane fa il Governo, pur forte di una maggioranza schiacciante, è ricorso a 5 voti di fiducia nell’arco di 48 ore: lo ha fatto su materie tutt’altro che secondarie come il green pass e la riforma della giustizia (penale e civile) e non era certo la prima volta (se non erro, sono 19 voti di fiducia da quando è in carica, 13 febbraio 2021).
    Si aggiunga che il tanto decantato “metodo Draghi” consiste nel portare al Cdm (ora, dopo qualche polemica, preceduto dalla cosiddetta “cabina di regia”) provvedimenti legislativi preconfezionati, poco discussi dallo stesso Governo, quasi mai dal Parlamento e, ovviamente sottratti a qualsiasi dibattito pubblico. Questa è la tecnocrazia bellezza!
    Ora aggiungiamo altri due tasselli, apparentemente in contrasto fra loro: l’affluenza alle recenti amministrative e la straordinaria partecipazione alla raccolta di firme “digitali" per i referendum su eutanasia e cannabis. Se ne occupa il costituzionalista Gaetano Azzariti sul Manifesto (il titolo è quanto mai diretto “Quell’inganno di un popolo senza potere”).
    La tanto magnificata esplosione di “democrazia elettronica” registratasi nella raccolta di firme a sostegno dei referendum, non ha trovato riscontro nell’affluenza elettorale. In dieci anni la percentuale dei votanti, parliamo delle amministrative, è scesa dal 74,43 al 54,69%: un divario negativo di 20 punti. Azzariti, per altro, mette in guardia anche dall’eccessivo entusiasmo “digitale”: «Dopo la raccolta delle firme - ammonisce il giurista - saranno i poteri a decidere le sorti della richiesta».
    È la considerazione iniziale di Azzariti che mi preme sottolineare: «Sempre più immediata, sempre meno meditata. Una democrazia divisa: da un lato il demos – il popolo – spesso indignato, ma poco propenso ad un impegno che vada oltre un click, un tweet, un’imprecazione contro lo stato di cose presenti. Dall’altra il kratos – il potere – impermeabile alle proteste. Quest’ultimo sembra seguire logiche puramente autoreferenziali, tecnocratiche, al più quelle vuote di significato della retorica populista, comunque lontane dal senso comune, dai bisogni sociali, dai problemi reali del primo».
    E torniamo alla querelle sulla riforma del catasto. Se il dissenso leghista, che apparentemente si appunta proprio sul metodo “tecnocratico”, avesse davvero come obiettivo quello di sottrarre le decisioni che riguardano la Nazione alle segrete stanze del potere, non potremmo che condividerlo. Sappiamo che non è così. Sappiamo che è una schermaglia che Salvini conduce pensando soprattutto al fronte interno, dove la sua leadership traballa.
    Il dramma della qualità e della consistenza della democrazia, però, rimane e si allarga il fossato tra demos e kratos, senza che questo generi un vero clima rivoluzionario, grazie anche alla funzione di sfogatoio anestetizzante dei social.
    Tutto questo andrebbe analizzato all’interno del quadro mondiale, con le sue complesse e drammatiche dinamiche di transizione. Qui la questione democratica, chi decide a nome di chi, si ripropone su scala planetaria, ma questa è un’altra storia.
     

  • I CAGNOLINI
    DELLA TECNOCRAZIA

    data: 07/02/2021 16:01

    Altro che “cane da guardia del potere”! Al massimo un cagnolino scodinzolante che accoglie festoso il padrone finalmente di ritorno da un viaggio. Questa è l’immagine che hanno fornito i media italiani, con pochissime eccezioni, all’annuncio che Mario Draghi aveva ricevuto l’incarico di formare il nuovo Governo. La sudditanza psicologica e purtroppo professionale ai poteri più o meno forti non è una novità nel panorama informativo del Bel Paese, ma uno spettacolo pressoché unanime di genuflessione preventiva non si era visto da tempo.
    Rubricare questo atteggiamento alla voce “conformismo” è fin troppo facile, ma rischia di sminuire la portata del danno che, in prospettiva, avrà sulle sorti della già malandata democrazia italiana.
    Chiariamoci, un atteggiamento diametralmente opposto, vale a dire di opposizione preconcetta (che pure si è vista più volte nei confronti di Giuseppe Conte, al di là spesso dei suoi demeriti) sarebbe stato altrettanto sbagliato.
    È esattamente questo il punto dolente quando si osserva come si articola il racconto della politica nelle testate, su qualsiasi piattaforma vengano distribuite: il nostro sistema informativo sembra avere introiettato il peggio della schematica deriva che circola nei social. Detto altrimenti: o si parteggia o si contrasta, o si tifa pro o contro, ma soprattutto lo si fa a prescindere da programmi e fatti, a volte persino ignorando le dichiarazioni contraddittorie che i protagonisti rilasciano a seconda delle circostanze (il caso dei due Matteo è, da questo punto di vista, esemplare). Un veleno che difficilmente riusciremo a contrastare nei prossimi anni.
    Inutile disperderci negli innumerevoli rivoli che hanno costellato la “beatificazione” dell’ex presidente della BCE; anche se non sarebbe stato male ricordare, per contraltare, il ruolo della banca europea presieduta da Draghi nella crisi della Grecia o la famosa lettera (a doppia firma Trichet-Draghi) inviata al governo Berlusconi (persino lui finge di non ricordarsene) che ne causò la caduta (alla faccia dei tecnici e della sovranità nazionale) con l’avvento del non rimpianto governo Monti. Questo soltanto per fare due esempi.
    Molto più interessante e lungimirante sarebbe stato evidenziare un altro pericolo. A fronte di una crisi che si trascina da anni della politica e del rapporto fra popolo e istituzioni, la scelta di un tecnocrate (di altissimo livello e competenza, senza dubbio) non rischia di aggravare ancor più la fiducia dei cittadini negli organi deputati a rappresentarli? Aggiungerei a questo, alla luce del modo in cui la figura di Draghi è stata presentata all’opinione pubblica, che l’informazione ha per l’ennesima volta avallato la vulgata dell’”uomo della provvidenza”, che certo non va nel senso di costruire una partecipazione democratica e un severo controllo da parte dell’elettorato.
    Eppure, questi pericoli sono gli stessi che venivano puntualmente sventolati a proposito dell’avanzata dei populismi (estinti in un batter d’occhio così come il temibile pericolo fascista?). E sono esattamente quelli di cui parla Lorenzo Castellani nel suo saggio “L'ingranaggio del potere (Italiano)” (Liberilibri, pagine 252, 2020) segnalato da Alessandro Trocino nella newsletter “Rassegna Stampa” de Il Corriere della Sera del 4 febbraio scorso.
    Scrive Trocino recensendo il libro: «La tecno-democrazia è frutto di una crisi di sistema. Della crisi del politico, cioè della capacità di gestire i conflitti interni della società attraverso le istituzioni rappresentative…».
    E ancora: «Insomma la politica non può essere ridotta a mera procedura o tecnica, a scienza economica o statistica. Altrimenti diventa una gabbia, sottoposta a regole, procedure, vincoli e limiti sempre più incomprensibili che rendono sostanzialmente irrilevante il consenso democratico e lo trasformano in un'adesione fideistica che si può facilmente trasformare in una strada lastricata da tentazioni di leaderismo e di populismo».
    Conclude Trocino, sempre citando Castellani (ricercatore in Storia delle Istituzioni Politiche presso la Luiss di Roma): «Non esistono soluzioni perfette, da confezionare con la scienza esatta dei competenti. Esiste solo la necessità di organizzare forme di convivenza civile, contemperando necessità e interessi, affrontando conflitti e imprevisti, che sfuggono a ogni scienza esatta. La missione, non impossibile, che dovrebbe essere il cuore della politica».
    Purtroppo, questo ruvido richiamo alla realtà e alle insidie che qualsiasi scelta politica contiene, è stato confinato in una newsletter riservata agli abbonati del quotidiano di via Solferino, mentre non se n’è vista traccia nella narrazione giorno per giorno.
    Invece di incensare fin quasi al parossismo il personaggio Draghi, raccontandoci anche i più insignificanti, purché edificanti, particolari della sua esistenza, l’informazione avrebbe fatto meglio a concentrarsi su come «organizzare forme di convivenza civile, contemperando necessità e interessi, affrontando conflitti e imprevisti…», tanto più vista la drammatica situazione in cui versa il Paese. Così avrebbe non soltanto reso un servizio alla Nazione, ma acquisito maggiore credibilità. Un patrimonio che, in futuro, le avrebbe permesso di controllare e criticare, funzioni senza le quali non può esercitare a pieno il suo ruolo democratico. Il cane da guardia ogni tanto abbaia, il cagnolino, ahimè scodinzola sempre.


     

  • LIBERTA' D'INFORMAZIONE:
    SERVE A TUTELARE
    CITTADINI E DEMOCRAZIA

    data: 10/01/2021 19:49

    «Senza libertà di informazione non c’è democrazia»: ciclicamente questo assioma viene resuscitato e issato sulle bandiere della protesta. A volte lo si agita di fronte a singoli casi di censura o tentativi più generali di limitazione del diritto dei cittadini a essere correttamente informati; altre lo si brandisce come strumento di difesa di prerogative di una categoria, quella dei giornalisti, che si percepisce, ancor oggi, come unica depositaria di questo interesse tutelato dall’articolo 21 della Costituzione.
    Quanto a questa seconda convinzione, bisognerebbe una volta per tutte chiarire che la Costituzione intende difendere l’interesse dei cittadini non quello di una pur nobile professione, dal che ne discende che quello dei giornalisti è un diritto riflesso. Non è una distinzione di poco conto, perché chiarisce quale sia la gerarchia delle tutele e il fatto che i professionisti dell’informazione ne sono investiti come delegati a proteggerle ed esercitarle in nome e per conto della collettività.
    Ecco che l’assioma citato in apertura assume un significato diverso, direi più ampio e più alto. Ma non basta: quell’espressione contiene due soggetti: “informazione e democrazia” che, alla luce dell’insieme del dettato costituzionale, non sono sullo stesso piano: ovvero la libertà di informazione è uno dei caposaldi della democrazia, ma la democrazia non si esaurisce nella libertà di informazione. Senza le fondamenta non è dato costruire una casa, ma da sole non bastano ad affermare che si sia realizzato un edificio.
    Ma quale democrazia? Anche questa domanda torna periodicamente, di questi tempi è molto in voga, per poi inabissarsi e lasciare sul proscenio la sineddoche dell’informazione. Senza sciogliere questo nodo, ovvero tipologia e qualità delle nostre democrazie (Trump e Capitol Hill insegnano), non verremo mai a capo della crisi che terremota il mondo dell’informazione, non soltanto nel nostro Paese.
    Ogni sistema di governo è imperfetto, se non altro per essere frutto dell’uomo. Nel caso della democrazia (intendendo quella che tale viene definita nell’occidente del libero mercato) quando si cerca di metterne in luce i limiti e, ultimamente, le sempre più evidenti involuzioni, si è immediatamente tacciati o di sinistrismo autoritario o di populismo (accusa questa ormai buona per tutte le latitudini). In genere ci si rifugia nella frase stereotipata citando Winston Churchill: «E' la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora» o la parafrasi di Pertini: «Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie». Entrambe le espressioni lasciano aperto il problema della perfettibilità.
    Eppure, basterebbe una sbirciata al saggio di Luciano Canfora “La democrazia. Storia di un’ideologia” (Laterza 2010) per prendere atto che nel corso della Storia questa forma di governo ha assunto le sembianze più disparate. Più velocemente, come si addice a tempi fast, si può consultare la voce nei vari dizionari. Ho scelto quella del Devoto-Oli per una questione sentimentale (è da sempre il mio preferito), che recita: «Dottrina politica che si fonda sul principio della sovranità popolare, sulla garanzia delle libertà e su una concezione egualitaria dei diritti civili, politici e sociali dei cittadini». Subito dopo enumera: democrazia elettronica; democrazia formale; democrazia illiberale; democrazia liberale; democrazia socialista; democrazia sostanziale; democrazia totalitaria.
    Mi fermo qui, ma già questo elenco (dal quale ho cassato le definizioni per ragioni spazio), dimostra come il comportamento binario non si addica a un ragionamento articolato. Quel che vorrei sottolineare è come, nella definizione principale, si mettano in evidenza “la sovranità popolare”, “la garanzia delle libertà” e “una concezione egualitaria dei diritti civili, politici e sociali dei cittadini”.
    Mi guarderò bene dall’addentrarmi su un terreno che non compete a un cronista, ci sono già troppi giornalisti che usurpano altre professioni, ma un giornalista, oltre a fare più domande che dare risposte non richieste, dovrebbe non smettere mai di interrogarsi sul suo ruolo e sul contesto nel quale è chiamato a svolgerlo.
    In sintesi: prima di rivendicare la propria libertà, prima di distribuire patenti di democraticità, i giornalisti dovrebbero verificare che quanto ciò che accade sotto i loro occhi e sono chiamati a raccontare (dalla politica alla cultura, dalla cronaca all’economia, allo spettacolo ecc.) sia coerente con una concezione egualitaria dei diritti civili, politici e sociali dei cittadini, con l’esercizio della sovranità popolare e con la garanzia delle libertà.
    La più inaccettabile delle censure è il silenzio e le notizie che veramente fanno male alla democrazia sono quelle che non vengono date.