Nei suoi più recenti discorsi, Vladimir Putin ha affermato di essere destinato a recuperare e rafforzare il territorio russo perduto, così come aveva fatto Pietro il Grande. L’attuale Presidente russo ha magnificato la conquista della costa baltica da parte dello zar del diciottesimo secolo: «Non stava prendendo nulla a nessuno; la stava recuperando». Invocare, per la Russia, lo stato di Impero, comporta l’esigenza di mettervi a capo un imperatore; e l’esistenza di un imperatore (quale imperatore migliore di se stesso) implica e legittima la trasformazione della Russia, al termine di un secolo di interruzione (il bolscevismo, l’Unione Sovietica, la sua dissoluzione, l’inetto Gorbaciov, l’ubriacone Yeltsin, il cauto Putin aperturista), in Impero, e postula la trasformazione del Presidente russo nello Zar della Terza Roma.
Ma instaurare un raffronto tra Putin e Pietro il Grande è davvero incauto; troppe sono le differenze. Come pure ha affermato Putin, quando Pietro il Grande fondò San Pietroburgo, «nessuno dei paesi europei la riconobbe come russa». Fosse o meno russa, certo la sua fondazione e i suoi obiettivi erano ben diversi da quelli di Putin, nelle vesti di imperatore un usurpatore di basso rango. Dopo un robusto praticantato, in incognito, nelle fabbriche e negli arsenali europei, Pietro, con quella fondazione, apriva la Russia all’Europa, utilizzando architetti ticinesi e bergamaschi, mastri d’ascia e operai specializzati di tutta Europa, per aprire la Russia moscovita, di cui San Pietroburgo poco faceva parte, ai commerci e ai traffici – intellettuali e filosofici – con la modernità e il resto del mondo, che si identificava allora, sul versante del Baltico, con l’Europa. Illuminista come poteva esserlo uno Zar innovatore, che mise sotto controllo il patriarcato moscovita, privandolo di qualsiasi potere.
La somiglianza che Putin più può invocare con Pietro il Grande è quella di aver passato qualche anno all’estero, ma non - come il secondo – a imparare tecniche e arti, e la cultura altrui, ma l’arte della spie e degli intrighi di palazzo, nella Germania Est della Stasi. E i suoi recuperi e reintegrazioni – trascurando le avvisaglie cecene, in Crimea, in Donbass – dal 24 febbraio scorso si sono manifestate sotto forma di bombardamenti, invasioni, truculente stragi di civili e di bambini, la brutale liquidazione di decine di migliaia di ucraini e di sudditi non russi della Federazione russa, assistito da un altrettanto brutale patriarca Kirill, in una reazionaria alleanza tra la parte più retriva della popolazione della Federazione, il potere autocratico e la Chiesa moscovita. La Russia può passare per una potenza non coloniale perché le sue colonie le ha all’interno, e quindi non si vedono.
Questo brutale approccio, e le sue alleanze, lo hanno reso, più che un aspirante imperatore (gli imperatori possono essere brutali, ma con tutt’altro stile), il capo di una cleptocrazia di terzo rango (benché armata), a rischio di una sconfitta come quelle giapponesi (1905), afghane, cecene. E lo ha allineato, più che alle conquiste imperiali, alle stragi staliniane in Ucraina negli anni Trenta, alle invasioni sovietiche dell’Ungheria del 1956, nella quale, come spiega Milan Kundera (Un Occidente prigioniero, Adelphi, 2022), si moriva «per l’Ungheria e per l’Europa», come oggi in Ucraina. (Ungheria che oggi è diventata paradossalmente putiniana, dopo quella fiera resistenza e dopo essere stata sottratta dall’Europa al giogo sovietico). All’invasione della Cecoslovacchia del 1968. Le sue mosse hanno causato le attuali reazioni della Polonia, che si ribellò nel 1956, nel 1968, nel 1970; della Finlandia (a suo tempo invasa anch’essa), della Svezia, della Danimarca.
Somiglia di più, lo Zar, a quei ragazzi americani che, armati dalla Corte Suprema e dalla lobby delle armi, vanno a sparare bambini nelle scuole elementari, o medie, per diventare «famosi». Ci sono, negli Stati Uniti, più di quattrocento milioni di armi (più di una per ogni cittadino), e molte stragi vengono commesse da persone con problemi mentali. Ma l’imperatore ne ha di più, e anche atomiche. Chi attribuisce tutte le colpe agli Stati Uniti, li battezza «un Impero», e sostiene che l’Ucraina sta combattendo una guerra «per procura», dimentica che l’Ucraina combatte per difendere se stessa, e che se ci sono inadempienti, non sono coloro che mandano armamenti perché l’Ucraina si possa difendere, ma gli Stati Uniti e il Regno Unito – cui più tardi si unirono Francia e Cina - che, in occasione della restituzione da parte dell’Ucraina del proprio arsenale nucleare alla Russia, ne garantirono l’integrità territoriale (assieme alla stessa Russia), con gli accordi di Budapest del 1994. Se per anni l’equilibrio nucleare ha garantito che i possessori di bombe atomiche non si affrontassero, posti gli evidenti rischi reciproci, forse l’attuale bluff atomico russo avrebbe potuto essere visto, e la garanzia escussa, inviando in Ucraina truppe dei paesi «garanti» per soccorrerla. Invece i «geo-politologi» (che hanno ormai preso il posto dei virologi del Covid 19), di questo aspetto non marginale preferiscono non parlare.
I massacri putiniani, come quelli delle stragi scolastiche, e di quelle jihadiste in tutto il mondo, sembrano sempre più modellati sui videogiochi, visti anche i risultati dell’invasione. Così il nostro futuro si avvicina sempre più a un «eterno ritorno» al mondo di un passato che la civiltà avrebbe voluto fosse superato da quasi un secolo. Come ricorda ancora Milan Kundera (ibidem), Voltaire scrisse a Helvétius: «Non sono d’accordo con quanto dite, ma mi batterò fino alla morte perché abbiate il diritto di dirlo». E continua: «Chi regredisce nella storia alla fase precedente abbandona i Lumi per fare ritorno al Medioevo». Qui sono regrediti Putin, i pacifisti a senso unico, e con loro gli armaioli americani e i loro clienti. I pacifisti che stigmatizzavano la guerra in Vietnam, se la prendevano giustamente con gli Stati Uniti, che bombardavano un paese straniero indipendente; quelli che stigmatizzano la guerra in Ucraina, sono i primi a prendersela con chi l’invasione la sta subendo. Regressione mai vista prima. Viva l’Impero!